Mi piace spesso ricordare ai miei giocatori che si perde perché si ha giocato male.
La motivazione psicologica può esistere in una sconfitta 3-2, di certo non dopo una bastonata 3-1 o 3-0. In questi casi è alquanto ridicolo pensare ad una soggezione psicologica.
Bisogna sottolineare che si ritrovano in giro pareri discordanti in merito. Ho letto di almeno due diverse correnti di pensiero:
- Motivazioni a favore della psicologia
- Motivazioni contrarie alla psicologia
Nel primo caso si ritiene che la psicologia abbia un ruolo fondamentale nella pallavolo. Addirittura si sono compiuti studi complessi e quasi affascinanti in merito. Una posizione forse esagerata.
Esagerata, tuttavia, è anche quella che non attribuisce alcuna importanza all’aspetto psicologico: l’importante è la tecnica, l’importante è lavorare, non esistono persone che vanno in palestra senza aver voglia di migliorarsi.
Questa seconda posizione, in effetti, mi sembra ancor più paradossale della prima. Sembra quasi una posizione assunta da chi indossa un paraocchi. Quasi come chi dice che a pallavolo bisogna saper solo battere e ricevere. O chi dice che bisogna solo saper attaccare. O che bisogna essere furbi. Non si può limitare l’esuberante quantità di elementi che coinvolgono la prestazione ad un solo particolare. La tecnica è importante, è sicuramente l’aspetto più importante, ma non è il solo. Non si può pensare che un ragazzo lasciatosi con la morosa dopo una relazione intensa e duratura possa rendere al meglio il giorno dopo l’evento. Non si può pensare che, soprattutto, a livello giovanile, non esistano ragazzi che frequentano la palestra solo per inerzia, senza uno scopo ben preciso, spesso solo perché incitati (obbligati?) dai genitori. E’ limitante e fuorviante.
E’ necessario trovare il giusto equilibrio. Del resto, da queste mie poche parole potrebbe dedursi una non troppo celata contraddizione. Non si perde per fattori psicologici, però la psicologia esiste.
Partiamo da un esempio: “La squadra si sente in soggezione rispetto ad un avversario imponente; la maggior parte dei giocatori ha rapporti pessimi con l’allenatore, pertanto tende a non seguirne i consigli; lo stesso allenatore non prova più piacere nel seguire la squadra”. La partita è persa 3-0. La partita è persa per motivazioni tecniche, non si perde perché si era nervosi o tristi, si perde perché si ha giocato male. Ma già dall’espressione “giocare male”, non si può dedurre un sottile velo psicologico? Giocare male implica che possiamo giocare meglio, altrimenti avremmo detto che “loro sono più forti”, oppure “bravi lo stesso”. Se diciamo “abbiamo giocato male” intendiamo che siamo capaci di fornire una prestazione di livello superiore. A questo punto è necessario interrogarsi sui motivi della prestazione carente, che, ribadisco, è risultata carente sul piano tecnico (spesso sottintenderò con l’aggettivo tecnico la più corretta definizione tecnico – tattico).
Non sarebbe azzardato affermare che l’aspetto psicologico influenza la prestazione tecnica.
Se il rapporto allenatore – giocatori fosse stato migliore, se la morosa avesse aspettato un altro giorno a lasciare il ragazzo, se le motivazioni intrinseche all’Io dei giocatori fossero state più positive, allora, forse, la prestazione tecnica sarebbe stata superiore.
Ma, se anche la prestazione psicologica è di alto livello, e l’avversario è tecnicamente più forte, si perde ugualmente. A meno che, chiaramente, non intervengano deficit psicologici anche nell’avversario (ipotesi tutt’altro che utopica).
Tuttavia, se lo sport fosse matematica, probabilmente non ci appassionerebbe tanto. E allora dobbiamo cimentarci nell’impresa di giustificare una sconfitta contro una squadra sulla carta inferiore alla nostra. Ancora una volta, il motivo della sconfitta è tecnico. Non potrebbe essere altrimenti. E’ assurdo crederlo: se perdiamo, vuol dire che difendiamo poco, che attacchiamo male, fuori, facciamo dei falli. Eppure, se siamo più forti, vuol dire che qualche fattore psicologico ha abbassato il nostro livello tecnico. E’ ragionevole crederlo. Allo stesso modo succede di perdere quando un arbitro ci si accanisce contro, rendendoci nervosi ed altamente instabili dal punto di vista emotivo. Probabilmente negli atleti si è creato un fenomeno di superiorità, che li ha resi disattenti. Come allenare questo aspetto? Se il problema è tecnico, allora ci deve essere una soluzione. Alleniamo allo stesso modo, rendendo però più agonistici i nostri esercizi. Anche al più banale esercizietto aggiungiamo un obiettivo, puniamo tutta la squadra per ogni errore grave, mettiamo in palio qualche flessione o qualche suicidio quando si gioca, facciamo partire le partire da punteggi equilibrati o, meglio, sbilanciati a favore dei più deboli, se non lo sono le squadre. Bisogna pretendere agonismo ed escludere dall’allenamento chi non ne dimosta. E’ fondamentale instaurare nei giocatori una mentalità fortemente competitiva, a partire dalla seduta di allenamento fino ad arrivare alla gara.
Come comportarci invece quando abbiamo giocatori che ad allenamento rendono 80 ed in partita, invece di 100, rendono addirittura 60? Anche in questo caso alle spalle vi è un problema psicologico, che sfocia nel problema tecnico. La correzione di questo fattore deve essere, a mio avviso, ben predisposta: proviamo a lasciare l’atleta in panchina, facendogli capire in questo modo che da lui pretendiamo di più, ed utilizziamo maggiormente il rinforzo positivo piuttosto che quello negativo. Non bisogna scoraggiare l’atleta, ma allo stesso tempo bisogna fargli capire che la prestazione di gara deve sempre essere massimale. Utilizzare solo il rinforzo positivo potrebbe portare ad una situazione di stati, ma utilizzare solo “il coltello” potrebbe portare ad una maggiore demoralizzazione e alla conseguente diminuizione della prestazione. Purtroppo, non sempre si ha un valido sostituto, quindi si deve sostituire la panchina ad un altro tipo di feedback negativo, quali i classici rimproveri.
Cercando di tornare su un piano più generale, possiamo affermare che:
La psicologia agisce come aspetto esaltante o limitante della prestazione sportiva, che rimane tuttavia fortemente vincolata alla tecnica.
In questa analisi non abbiamo tenuto in considerazione l’aspetto più meramente fisico, ossia la preparazione e la forma fisica. La componente condizionale assume un ruolo determinante della prestazione: sappiamo, ad esempio, che la forma fisica non può essere a massimi livelli per tutta la stagione, ma ha picchi massimi e minimi. Se sulla carta siamo più forti, ma in questo periodo le nostre punte di diamante sono fuori forma, può capitare di perdere. Senza implicazioni psicologiche. Perdiamo perché giochiamo male. Giochiamo male perché siamo fuori forma.
Come si evince dall’immagine riassuntiva, la prestazione è determinata solamente dall’aspetto tecnico e tattico. Questi due aspetti vengono tuttavia influenzati dalle componenti fisiche e psicologiche. Nell’allenamento della tecnica e della tattica, quindi, si devono tenere presenti anche queste due componenti. Lo stato fisico, a sua volta, è influenzato dallo stato di forma e da quello di allenamento. Va precisato che, nello schema, non sono evidenziati i blocchi che sottolineino il livello qualitativo delle componenti: è infatti scontato che la tecnica, seppur influenzata da psicologia e fisiologia, sarà comunque determinata per la maggior parte dallo stato tecnico vero e proprio (capacità di coordinazione, capacità di ricezione, battuta, attacco, contrattacco…); allo stesso modo, la componente fisica dipende principalmente dai dati qualitativi dell’atleta (altezza, peso, elevazione, forza esplosiva della spalla…), anche se molti di questi elementi possono essere migliorati con l’allenamento. La componente psicologica si può racchiudere in uno stato di benessere (tornando all’esempio iniziale, il non essere stato lasciato dalla morosa), dalla motivazione (quanto uno è convinto di poter giocar bene, quanto uno è determinato in ciò che fa). La componente tattica (formata da strategia e tattica) è altresì influenzata dalle capacità dei giocatori di ricordare ed applicare ciò che è stato predisposto e deciso dall’allenatore, sia dal punto di vista fisico che psicologico.
Concludendo, l’aspetto psicologico, essendo parte influenzante, seppur in modo indiretto, della prestazione, deve essere tenuta sotto controllo nel processo di allenamento. L’atleta deve essere spronato all’agonismo, deve essere compreso ed aiutato nei momenti di scoraggiamento, deve essere anche punito e rimproverato nella giusta misura quando la prestazione scema per motivazioni futili (mancanza di voglia).
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COMPLIMENTI
Maurizio P.