Teoria degli esercizi

Questo articolo ha lo scopo di illustrare gli elementi principali della teoria degli esercizi: classificazione, finalità, durate, tipologie, criteri di scelta e correzione. Contiene anche alcuni richiami alla teoria dell’allenamento. Al tutto è stato dato uno stampo puramente pallavolistico, ma è possibile adattare tutti i discorsi presentati anche agli altri sport.

1. Tipologie degli esercizi

Suddividiamo gli esercizi in tre grandi famiglie:

  • Analitici
  • Sintetici
  • Globali

Gli esercizi analitici permettono di lavorare su un gesto tecnico estrapolato dal contesto di gioco.
Il lavoro è molto preciso, ma un esercizio analitico eseguito correttamente non implica l’automatismo, quanto la fissazione di un gesto.
Esempio di esercizio analitico: bagher frontale contro il muro con piede destro avanti.

Gli esercizi globali sono l’opposto di quelli analitici. I giocatori si trovano schierati in campo e lavorano sulle situazioni di gioco.
Questi esercizi sono profondamente allenanti se si riesce a dare continuità al gioco, è quindi importante che sia presente una solida base di analitico.
Esempio di esercizio globale: 6 vs 6, per fare un punto bisogna confermare l’azione vinta con una free ball.

Gli esercizi sintetici sono una via di mezzo tra analitico e globale. I giocatori non sono schierati in campo, ma lavorano su una sequenza di situazioni di gioco.
Esempio di esercizio sintetico: Battuta, ricezione, alzata e pallonetto.

Ogni allenatore deve essere in grado di combinare questi esercizi per stabilire quali siano più allenanti e più proficui per la propria squadra.
In generale, in una squadra giovanile non si può trascurare il lavoro analitico, che serve per insegnare la tecnica, mentre in squadre più evolute (a partire già da un buon U18) è possibile concentrarsi maggiormente sul globale (eventualmente sul sintetico).

Queste sono le tipologie di allenamento delle abilità pallavolistiche, a questi vanno aggiunti gli esercizi puramente fisici, per l’allenamento delle capacità condizionali.

2. Finalità degli esercizi

Gli esercizi possono lavorare in modo globale su un fondamentale, oppure concentrarsi su una tecnica, o ancora, concentrarsi sull’utilizzo di una tecnica all’interno di un particolare fondamentale.

Fondamentale

Tecniche

Battuta

Battuta dal basso

Battuta flottante da terra

Battuta rotante da terra

Battuta flottante in salto

Battuta rotante in salto

Battuta a bilanciere

Ricezione

Bagher

Palleggio

Acrobatica

Alzata

Palleggio

Palleggio in salto

Bagher

Pallonetto

Schiacciata

Acrobatica

Attacco

Contrattacco

Palleggio

Palleggio in salto

Bagher

Piazzata

Schiacciata

Colpi di schiacciata

Pallonetto

Mani e Fuori

Smorzata

Autocopertura

Copertura

Acrobatica

Muro

Muro sul posto

Muro dopo spostamento

Raddoppio

Autocopertura

Difesa

Bagher

Palleggio

Acrobatica

Gli esercizi analitici si concentrano su una particolare tecnica, spesso anche estrapolandola dal fondamentale corrispondente (es. un palleggio generico di appoggio e non una distinzione tra palleggio di alzata, di ricezione, di difesa).
Gli esercizi globali lavorano su un fondamentale, anche se è possibile imporre l’utilizzo di una particolare tecnica (es. obbligo di battuta in salto flottante).
Importante è, inoltre, l’allenamento dello spirito tattico, fondamentale per tutti i fondamentali e per tutte le tecniche: la tecnica è al servizio della tattica.
Tuttavia, generalmente, lo spirito tattico non si allena con esercizi specifici, quanto più con particolari richieste all’interno dell’allenamento della tecnica.

3. Durata degli esercizi

Ogni esercizio deve avere un termine:

  • Tempo
  • Ripetizioni
  • Obiettivo
  • Gara

Un esercizio a tempo è utilizzato soprattutto nella fase analitica e sintetica, termina quando lo decide l’allenatore: generalmente si ha la fine quando i giocatori hanno fatto un numero sufficiente di ripetizioni, hanno capito il meccanismo, oppure, nelle ipotesi peggiori, l’esercizio è troppo complicato per loro.

Un esercizio a ripetizioni termina dopo un certo numero di colpi dello stesso gesto. Viene utilizzato anche in questo caso in fasi analitiche, soprattutto di riscaldamento. Ad esempio “fare 30 bagher contro il muro”, oppure “15 a testa e poi si cambia”. Questa tecnica non permette di correggere tutti gli errori ma permette durate abbastanza brevi.

Un esercizio a obiettivo è un esercizio che termina dopo un certo numero di esecuzioni “corrette”, dove con corrette indichiamo “che rispecchiano ciò che noi vogliamo”. Sono esercizi profondamente stimolanti, ma non è facile prevedere la loro durata. Se l’allenatore è il feedback dell’esercizio dovrà essere attento a non creare situazioni troppo facili o troppo difficili, che possono compromettere l’utilità da un lato, il morale dall’altro. Classici esercizi a obiettivo sono quelli di precisione (30 battute in una zona, 30 appoggi perfetti, 10 ricezioni buone). E’ possibile chiedere solo un certo numero di esecuzioni corrette o, per complicare, si possono porre clausole, come esecuzioni corrette consecutive, esecuzioni corrette con meno di x errori e così via.

Un esercizio a gara termina quando una delle due squadre raggiunge un obiettivo prefissato: importante sottolineare che questi sono gli esercizi migliori per lo spirito tattico, ma anche i peggiori per il lato tecnico: spesso, infatti, durante la gara, i giocatori tendono a raggiungere l’obiettivo in qualsiasi modo, non curando il particolare gesto tecnico che stanno allenando. Del resto, l’allenatore non può interrompere una delle due squadre per troppo tempo, altrimenti l’esito della gara e conseguentemente lo spirito dell’esercizio verrebbe a mancare.

Personalmente, amo seguire questi criteri: quando un gesto viene presentato per la prima volta, propongo un esercizio analitico a tempo, che va avanti finché quasi tutti i giocatori non hanno iniziato a capire il meccanismo.
Con il tempo il gesto diverrà quasi corretto, e semplici esercizi a ripetizioni lo potranno tenere allenato. Per aumentare la voglia di eseguirlo correttamente aggiungo anche esercizi a obiettivo, ottimi quando si lavora proprio su quel particolare fondamentale, che, tuttavia, deve essere già noto ai giocatori. Infine, utilizzo gli esercizi a punteggio solo nella fase globale oppure con i bambini, che sono molto stimolati da una gara.

4. Ritmo degli esercizi

Ogni esercizio deve avere un ritmo, ossia una frequenza con la quale vengono eseguite le ripetizioni del gesto allenato.

E’ chiaro che il numero di ripetizioni deve comunque essere elevato, quindi il ritmo inciderà sulla durata (in tempo) dell’esercizio.

Gli esercizi si possono classificare in:

  • Ritmo blando
  • Ritmo medio
  • Ritmo elevato

Gli esercizi a ritmo blando sono utilizzati soprattutto per esercizi complessi o comunque che richiedono una cura elevatissima della corretta esecuzione tecnica (rispetto del modello proposto) del gesto allenato. In questi casi si lavora molto sulla correttezza del gesto, piuttosto che sulla frequenza di ripetizione.

Gli esercizi a ritmo elevato sono utilizzati invece per fissare un gesto, una volta che questo è stato quasi appreso. Sono ottimi per il consolidamento, in quanto obbligano a mantenere elevata la concentrazione dei giocatori.
Sono comodi ad esempio in esercizi di difesa o di ricezione, in cui è importante essere sempre al massimo della concentrazione, senza lunghe pause che causano distrazione.
In questi esercizi le correzioni dell’allenatore non possono essere troppo frequenti, ma devono essere rapide e immediate tra una esecuzione e l’altra, senza che il giocatore si fermi a guardare l’allenatore.

Un fattore da tenere a mente quando si lavora con il ritmo è il seguente: ritmi alti richiedono tempi ristretti per pause di recupero, ritmi blandi possono causare mancanza totale di concentrazione ed eccessivo relax. E’ quindi fondamentale, in fase di creazione di un esercizio, stabilire quale sarà il ritmo da imporre e quindi cercare di adattarlo alle situazioni del gioco.

Anche se si aveva previsto un ritmo alto, ma i giocatori risultano troppo stanchi, è bene fare una pausa o diminuire temporaneamente il ritmo, in modo da non spossarli del tutto.

L’ultima precisazione va fatta sul metodo di applicazione del ritmo: gli esercizi a ritmo alto, soprattutto a livelli giovanili, devono essere guidati dall’allenatore, altrimenti in poco tempo si degenera nel caos oppure il ritmo viene automaticamente decrementato dai giocatori, che tendono per natura ad aiutarsi e a darsi pause molto elevate. Soprattutto nel lavoro a coppie, è inutile richiedere a parole ritmi troppo elevati, tanto difficilmente saranno raggiunti dai giocatori.

5. Difficoltà degli esercizi

La difficoltà di un esercizio è uno dei punti cruciali nella scelta, forse il più importante. Da essa dipende il morale della squadra, l’utilità di tale esercizio e il clima generale in palestra.
Far eseguire ai giocatori un esercizio troppo facile o troppo difficile per molto tempo può compromettere inevitabilmente l’esito di tutto il resto dell’allenamento.

Secondo alcuni studi, si ha un buon lavoro quando il numero di esecuzioni corrette è intorno al 50% di quelle totali. L’andamento della variabile morale in funzione della difficoltà dell’esercizio, è rappresentata da una curva di Gauss, in cui il massimo si ha appunto quando il numero di esecuzioni corrette è il 50%.

Motivazione

Una precisazione: gli esercizi facili non devono essere scartati sempre. Durante il riscaldamento sono ottimi per dare continuità al gioco ed evitare quindi che la palla sia fermata o recuperata troppo spesso.

Gli esercizi difficili possono essere proposti come “gradino successivo” a un esercizio su cui si è già lavorato: l’allenatore deve comunque essere bravo e capire quando “il gradino era troppo alto” e trovare una buona via di mezza per non abbattere il morale dei giocatori.

6. Progressione di esercizi

Ogni allenatore deve essere in grado di creare progressioni di esercizi: alcune progressioni sono già state studiate e sperimentate da grandi allenatori, tuttavia è necessario imparare ad adattare ogni progressione alla propria squadra.

Ogni esercizio non deve essere visto come a sé stante, ma come parte di una catena virtuosa finalizzata al consolidamento di un fondamentale.

Quando un esercizio viene eseguito correttamente, è ora di cambiarlo, di renderlo più difficile. In altri casi, un esercizio che viene particolarmente bene o risulta particolarmente facile, può diventare un buon riscaldamento prima di iniziare con i veri esercizi. Ad esempio, fare bagher frontale contro il muro non può certo essere un buon esercizio di ricezione per una squadra di livello regionale, ma può essere un buon riscaldamento del bagher.

La progressione deve essere inserita sia nel contesto globale che in quello analitico: in particolare, spesso il globale è la conseguenza di una catena di esercizi analitici. Prima insegniamo il gesto e ci lavoriamo, quindi facciamo vedere come questo può essere utile all’interno del gioco (il globale, appunto).

Quando si parla di progressioni di esercizi non si può non parlare di metodologie di insegnamento:

  • Metodo analitico
  • Metodo globale

Il metodo analitico prevede l’insegnamento di un gesto tecnico pezzo per pezzo (es. rincorsa, stacco, colpo, ricaduta). E’ il lavoro più preciso e, prima o poi, deve essere applicato a tutti i fondamentali. Attraverso il metodo analitico è facile seguire una progressione di esercizi.

Il metodo globale è efficiente soprattutto con i bambini, che non possono essere annoiati con lunghe spiegazioni e vogliono subito “provare sulla loro pelle” il gioco: si mostra un gesto, il modello tecnico, e lo si fa provare direttamente. Questo metodo è buono per gesti semplici quali un palleggio, ma non può sostituire totalmente il metodo analitico, che, permettendo una serie di progressioni, assicura un miglioramento più sicuro e completo.

Una ulteriore interpretazione del concetto di progressione è quella del cambiamento graduale: l’allenatore, dato un esercizio qualsiasi, deve essere in grado di semplificarlo o complicarlo per rendere l’efficienza ottima.
Ad esempio, il semplice “attacco e difesa a coppie” può essere semplificato fermando ogni volta la palla invece di alzarla in palleggio; può essere altresì complicato con la difesa di 3 palloni consecutivi, oppure aggiungendo la possibilità di un pallonetto, oppure obbligando a fare anche una difesa in palleggio (ovviamente l’attacco del compagno dovrà permetterlo).

7. Copiatura di esercizi

E’ chiaro che a questo mondo esisterà sempre un allenatore più in gamba di noi ed è giusto e corretto seguire qualche suo allenamento per “imparare qualche trucco del mestiere”.

Tuttavia, alcuni allenatori interpretano questa cosa come “guardiamo un allenamento e facciamo fare gli stessi esercizi alla nostra squadra: se li fa lui, vuol dire che servono”.
Bene, mi sento di dire che questo è uno degli errori più gravi che un allenatore possa commettere.

Se due squadre di livello diverso fanno uno stesso esercizio, allora è chiaro che uno dei due allenatori sta sbagliando qualcosa. E’ chiaro, infatti, che due squadre di livello diverso non possono allenarsi alla stessa maniera: quindi, quando si osserva un allenamento di una serie A, è inutile riproporre lo stesso esercizio ai propri ragazzi un U14: totalmente inefficiente.

Piuttosto, è una buona pratica quella di guardare un esercizio, cercare di capire perché l’allenatore lo sta facendo fare (eventualmente discutendone a fine allenamento con il diretto interessato), capire come ha fatto a sceglierlo e quindi conservarlo nel proprio “bagaglio di esercizi”, andandolo a ripescare (modificandolo, eventualmente) quando servirà con una qualunque propria squadra.

Probabilmente un esercizio da serie A non andrà bene per un U14, ma con qualche modifica potrebbe saltar fuori un esercizio ottimo anche per un livello così basilare.

8. Stimoli

Un altro fattore da non sottovalutare è lo stimolo che l’esercizio può suscitare nei giocatori. Eseguire un esercizio troppo banale per tanto tempo può risultare catastrofico per il morale, oltre a causare la totale assenza di utilità per quanto riguarda il miglioramento tecnico – tattico dei giocatori.

Potete aver creato un esercizio assolutamente utile dal punto di vista tecnico, ma talmente noioso e frustrante per i giocatori da renderlo decisamente inutile: i giocatori lo faranno controvoglia, con poco ritmo e conseguentemente non servirà a nulla.

Va precisato che spesso è il solo obiettivo a causare frustrazione nei giocatori: ad esempio, dire dobbiamo fare 50 appoggi in bagher consecutivi perfetti potrebbe essere troppo per un livello giovanile: dopo pochi tentativi, i giocatori risulterebbero demoralizzati e svogliati al raggiungimento dell’obiettivo.

9. Consigli per la scelta

La scelta di un esercizio dipende fortemente dall’allenatore: è un dato oggettivo ciò che vogliamo allenare, ma è soggettivo il modo in cui pensiamo di poterlo fare.
Sebbene, come detto, nessuno potrà mai criticare un particolare esercizio, è bene che ogni allenatore tenga presenti queste linee guida.

Obiettivo chiaro

Ogni esercizio deve avere un obiettivo, qualcosa su cui noi puntiamo l’attenzione: non può esistere un esercizio che allena tutto alla perfezione. Quando scegliamo un esercizio dobbiamo sapere cosa vogliamo ottenere con esso.

Ripetizioni

Un esercizio, per servire a qualcosa, deve permettere un numero elevato di ripetizioni. Bisogna quindi calcolare l’esercizio in base al tempo a disposizione. Non possiamo pensare di far durare un esercizio 3 minuti, se sappiamo che in 3 minuti avremo circa 5-6 ripetizioni. Per fissare un gesto, infatti, ne servono molte di più.

Azione principale

In ogni esercizio ci deve essere una situazione di gioco principale, quella che stiamo allenando. Eventualmente possono essere collegate altre situazioni secondarie, su cui però non possiamo focalizzarci, altrimenti perderemmo il senso dell’esercizio.

Ritmo

Bisogna dare il ritmo giusto ad ogni esercizio, altrimenti i giocatori perdono la concentrazione (ritmo troppo blando) o si affaticano subito (ritmo troppo alto). L’ideale sarebbe ricalcare il ritmo del gioco (ad esempio, l’esercizio attacco – difesa a coppie non è realistico, perché si attaccano e difendono molti palloni consecutivamente, e ciò non accade realmente durante la partita).

Stimoli

L’esercizio deve essere interessante, impegnativo e agonistico.

Progressione

Ogni esercizio deve essere parte di una catena di esercizi, bisogna essere in grado di modificarlo “al volo” per adattarlo al modo in cui la squadra lo sta eseguendo.

Nomi identificativi

Se pensiamo che il nostro esercizio sarà eseguito spesso nel futuro, diamogli un nome identificativo (es. Pippo, Pluto), in modo da farlo ricordare ai giocatori e non doverlo rispiegare ogni volta.

10. Introduzione di nuovi gesti

L’introduzione di nuovi gesti tecnici si ha in genere nel periodo di maggiore crescita dei giocatori, ossia dal minivolley fino ad un U14, più raramente in un U16.

A livello di minivolley l’introduzione ai fondamentali è basata molto sul gioco, si lavora principalmente sull’applicazione tattica del gesto, alternando fasi analitiche a fasi di gioco 1 vs 1, 2 vs 2 o 3 vs 3, fino al 4 vs 4. Le esercitazioni sintetiche risultano futili, visto che raramente a questo livello di dispone della tecnica tale da permettere sufficiente continuità all’esercizio.
Il lavoro analitico è comunque importante, ma deve essere in minoranza (come tempo) rispetto al gioco.
Molto utili risultano le esercitazioni a gara, decisamente meno quelle ad obiettivo, che tendono a frustrare il bambino e, conseguentemente, ad allontanarlo dalla palestra.

Quando invece si introduce un nuovo fondamentale o, comunque, un nuovo gesto tecnico, ad un livello più evoluto (U14), è bene lavorare con fermezza e dedizione sulla parte analitica, mostrandone poi l’utilità nel globale e spingendo affinché il nuovo gesto venga utilizzato quando necessario.
Importanti iniziano ad essere le esercitazioni sintetiche, ma anche a questo livello, se l’esercizio è troppo complesso, è possibile che non si riesca a mantenere un sufficiente livello di continuità.

In generale, l’iter di base per l’introduzione di un gesto tecnico è:

  1. Spiegazione teorica del gesto
  2. Dimostrazione (allenatore, video)
  3. Prime prove analitiche
  4. Prova dell’utilità nel globale
  5. Lavoro analitico

Il punto [3] può essere più o meno esteso a seconda del gesto: se insegniamo un tuffo, è assurdo pensare che i giocatori lo utilizzino nel gioco se non gli è stato fatto un buon lavoro analitico alle spalle.
I punti [4] e [5] devono iniziare ad essere contemporanei da quando inizia il punto [5] (in altre parole, una volta che il gesto è stato mostrato e se ne è capita l’utilità, deve sempre essere utilizzato nel globale quando necessario).
Il lavoro analitico aiuterà poi a eseguirlo in maniera sempre più corretta e, quindi, efficace.

11. Lavoro costante sui fondamentali

Soprattutto durante la fase agonistica, ci sono dei momenti fissi che non possono mancare ad alcun allenamento:

  • Ricezione
  • Attacco a rete

Battuta e Ricezione sono i due fondamentali che ci permettono di giocare, senza di essi è impensabile credere di giocare una buona pallavolo. E’ sufficiente un quarto d’ora ogni allenamento, prima del globale, per fare un rapido e classico esercizio di battuta e ricezione.

L’attacco va sempre eseguito, almeno una decina di minuti, in quanto questo è il gesto tecnico più difficile (oltre ad essere la principale fonte di punti) e quindi deve essere maggiormente allenato.
Inoltre va ricordato che l’attacco è il fondamentale che identifica la pallavolo, quello che tutti i giocatori amano; e va ricordato che i giocatori vengono in palestra per divertirsi, quindi almeno questi 10 minuti di svago vanno concessi.

Per questi tipi di allenamento preferisco esercitazioni puramente analitiche: per la ricezione è sufficiente un battitore ed un set di ricevitori, più un giocatore sotto rete da riferimento. E’ inutile inserire anche l’attacco o altre forme di longevità. Per allenare in modo costate un fondamentale bisogna lavorare sul ritmo elevato, tante ripetizioni in poco tempo.
Allo stesso modo, durante l’attacco a rete, non complichiamo troppo l’esercizio: inseriamo, volendo, un banalissimo appoggio, ma nulla di troppo complicato.

Per i lavori più complessi possiamo (dobbiamo) dedicare allenamenti specifici.
Se un giorno abbiamo lavorato su muro – difesa, andiamo comunque a rete a fare un po’ di attacco, ma non stiamo a stressare il giocatore sulla zona in cui tirare, sul fare pallonetto, sul fare “mani e fuori”, sul difendere una palla forte prima di attaccare. Per lavorare su questi aspetti possiamo dedicare un ulteriore allenamento.

Il discorso sul “non complicare gli esercizi fissi” nasce dalla necessità di elevata continuità, dall’esecuzione di più ripetizioni possibili nel minor tempo possibile: complicando l’esercizio, si rischia che un giocatore carente in un fondamentale non riesca a svolgere l’esercizio, facendo sì che ad ogni allenamento il giocatore in questione perda mezz’ora senza riuscire a fare correttamente un esercizio. Inoltre, se in 10 minuti abbiamo ricevuto 4 palloni, è chiaro che abbiamo perso del tempo (4 palloni si possono ricevere in 4 secondi).

12. Pause

La gestione delle pause e dei tempi di recuperi è molto importante per quanto riguarda l’efficacia dell’allenamento.

L’ideale sarebbe non necessitare di recupero, ma, come sappiamo, l’uomo non è perfetto e ha quindi bisogno di recupero.
Non va sottovalutato il fatto che anche l’allenatore ha bisogno di piccole pause durante l’allenamento, per focalizzare i punti chiave dell’esercizio che seguirà e per elaborare il giudizio personale sull’ultimo esercizio eseguito.
Del resto, l’allenatore avrà spesso bisogno di un po’ di tempo per spiegare l’esercizio successivo e per predisporre il lavoro (materiale sul campo, formazione dei gruppi di lavoro ecc.). Questi sono i tempi migliori per essere utilizzati come pause di recupero.

Dopo un’esercitazione particolarmente pesante, è bene dare una sosta all’allenamento, 4-5 minuti di pausa, in cui i giocatori possono bere un sorso d’acqua, fare allungamento e rilassarsi un attimo.

Per il resto, generalmente, è sufficiente il tempo di spiegazione e preparazione dell’esercizio successivo.

Se le pause sono troppo frequenti o lunghe, si possono avere spiacevoli conseguenze:

  • I giocatori “si raffreddano”
  • I giocatori iniziano a chiacchierare e a rilassarsi eccessivamente, uscendo dalla mentalità dell’allenamento
  • I giocatori si rilassano e faticheranno a riprendere il ritmo del lavoro
  • Si perde tanto tempo in cui si ha la palestra a disposizione

E’ possibile trovare alcuni accorgimenti per ottimizzare la gestione delle pause: ad esempio, è buona norma far portare ai giocatori una borraccia d’acqua in palestra, in modo che essi possano bere sempre quando vogliono, senza dover obbligare l’allenatore a ritagliare dei minuti preziosi per mandare tutti gli atleti in spogliatoio a bere.

Altra questione importante è quella sugli esercizi fisici di mobilità e stretching: se possibile, eseguire questi esercizi prima e dopo l’orario della palestra, eventualmente in un corridoio, o anche nello stesso spogliatoio.
E’ abbastanza stupido sprecare il preziosissimo (perché scarno) tempo in cui si ha la palestra a disposizione, per fare 10-15 minuti di stretching all’inizio e alla fine dell’allenamento.

13. Spiegazione degli esercizi

La spiegazione degli esercizi dovrebbe essere una caratteristica intrinseca di ogni allenatore: del resto, se non si riesce a far capire l’utilità di un esercizio o non si riesce a spiegarlo correttamente, è chiaro che stiamo sbagliando qualcosa (magari, anche il lavoro).

Il livello di spiegazione deve essere direttamente proporzionale al livello della squadra e inversamente proporzionale all’età dei ragazzi. Ad esempio, con dei bambini del minivolley le spiegazioni dovranno essere brevi e concise, così come la complessità dell’esercizio stesso. Se ci trovassimo invece ad allenare una squadra evoluta, è bene spiegare l’esercizio in ogni sua parte, precisando anche quali sono gli obiettivi da focalizzare durante l’esecuzione.

Esistono alcuni “trucchetti” utilizzati per mantenere l’attenzione dei giocatori:

  • Dimostrare entusiasmo, già dal tono della voce
  • Usare frasi effetto (esempi, iperboli)
  • Esprimersi in modo chiaro e conciso
  • Raccontare aneddoti
  • Usare un tono di voce brillante

Inoltre vanno tenuti presenti alcuni punti cruciali in fase di spiegazione:

  • Avere un atteggiamento mentale e fisico positivo
  • Far capire l’utilità degli esercizi
  • Essere chiari e concisi
  • Definire i punti chiave su cui puntare l’attenzione
  • Incoraggiare (si parla di rinforzo, ossia far capire ad un giocatore che ciò che sta facendo è corretto)
  • Essere precisi nell’informazione
  • Verificare le emozioni (non stressare troppo un giocatore con esempi o domande se si vede che non è in giornata)

L’ultimo punto cruciale di ogni esercizio è la dimostrazione: per esperienza, quando si propone un nuovo esercizio, è meglio “farlo vedere”, onde evitare di doverlo spiegare mille volte a tutti i giocatori (questo vale soprattutto a livello giovanile). Questa dimostrazione può anche non ricalcare esattamente tutta la tecnica, ma deve avere come obiettivo quello di far capire il meccanismo dell’esercizio.

Diversa è invece la dimostrazione tecnica: in questo caso si tratta di fornire il modello tecnico che i giocatori dovranno seguire. E’ molto importante fornire un modello visivo, non basta descriverlo a parole.
La dimostrazione può essere fatta dall’allenatore, se in grado, da un giocatore particolarmente capace, oppure mediante un video (ipotesi un po’ più complessa da realizzare).
Attenzione a non fornire modelli sbagliati, perché i giocatori tendono sempre ad imitare il modello che è stato loro fornito, e se questo è errato essi impareranno a eseguire un gesto in modo totalmente sbagliato.

14. Lo spirito allenante

E’ fondamentale impartire alla squadra, ad ogni singolo giocatore, l’importanza dello spirito allenante, ossia far uscire l’allenatore che è in ognuno di noi.

Lo spirito allenante si manifesta attraverso questi fenomeni:

  • Correttezza del giocatore allenante
  • Feedback
  • Consiglio

La correttezza del giocatore allenante si ha ogni volta che i giocatori lavorano da soli, a gruppi, in modo che c’è sempre qualcuno che fa lavorare gli altri. In queste situazioni è fondamentale che il giocatore che sta allenando il compagno sia corretto, lo aiuti a migliorare.
Ad esempio, non deve lanciare troppo facile o troppo difficile, non deve adattare il lancio al giocatore, non deve permettere che “si bari”. E’ importante che ricordi la regola dell’apprendimento massimale (50% delle esecuzioni corrette).
Ulteriore esempio: nel classico battuta – ricezione è impensabile che i giocatori in battuta sbaglino 10 battute, poi ne mettano in campo 3 impossibili e 2 troppo facili. Bisogna dare continuità, allenare chi sta ricevendo. I momenti per allenare la battuta saranno altri. L’obiettivo di chi batte deve essere allenare i compagni, non migliorare la propria battuta o fare esperimenti.
L’allenatore ha il dovere di rendere i propri giocatori allenanti, adirandosi e punendo quando questi reagiscono scherzando o non essendo allenanti.

Il feedback è l’informazione di ritorno e si ha ogni volta che un giocatore valuta il gesto tecnico del compagno. Lo può fare l’alzatore sull’appoggio, lo schiacciatore sull’alzata, un qualsiasi giocatore in posizione di recupero palloni e così via.

Il consiglio viene attuato generalmente da giocatori più esperti verso giocatori meno esperti, a livelli medio – alti: si tratta di dare consigli tecnico – tattici ai propri compagni. Attenzione, perché alcuni individui potrebbero sembrare troppo presuntuosi. Il corretto è l’allenatore, i giocatori si devono aiutare a vicenda senza oltrepassare la parola dell’allenatore e comunque solo in forma amichevole e mai offensiva e/o altezzosa.

Insegnare ai giocatori ad essere allenanti non è semplice (soprattutto a livello giovanile, quando l’emozione, la timidezza o, dal lato opposto, la superbia, possono causare problemi nel gruppo), ma è importante farlo. Si scoprirà che questo è anche un ottimo modo per migliorare l’affiatamento del gruppo. I giocatori imparano a formare una squadra, ad aiutarsi l’un l’altro e a collaborare per il comune scopo del miglioramento.

15. Aumentare le ripetizioni

Quando progettiamo un esercizio, prima di passare oltre poniamoci sempre una domanda fondamentale?

Esiste un modo per aumentare le ripetizioni?

Se la risposta è affermativa, allora valutiamo attentamente se il cambiamento è possibile (il ritmo rimane accettabile, la situazione allenata è proprio quella voluta) e, se questa ipotesi è verificata, non esitiamo ad attuare la modifica.

Un esempio: la ricezione. Spesso gli allenatori allenano la ricezione sempre e comunque con 3 giocatori schierati.
Chiaramente, questa è una situazione che deve essere allenata, in quanto tutti i giocatori prendono le misure con i compagni e il giocatore di zona 6 trae molto beneficio dal fatto di dover gestire correttamente due zone di conflitto.
Tuttavia questo esercizio ha lo svantaggio di diminuire drasticamente il numero di ripetizioni eseguire da ogni giocatore.
Una buona modifica dell’esercizio è il passaggio alla ricezione a 2, chiaramente limitando la zona di ricezione alle zone 5 – 6 o 1 – 6. In questo modo i giocatori possono ricevere molti più palloni (per eseguire l’esercizio in 3, si può tenere un giocatore in attesa o valutazione della palla e farlo entrare al posto di chi ha ricevuto).
E’ chiaro che questo non può e non deve essere considerato l’esercizio di ricezione perfetto, visto che non ricalca completamente il gioco e che, ad ogni modo, sarà necessario lavorare sia sulle zone 1 – 6 che su quelle 5 – 6.
Tuttavia, noterete che nella stessa quantità di tempo, ogni giocatore riceverà un’enorme quantità di palloni in più: d’altro canto, per i battitori non sarà difficile escludere una delle zone di battuta, visto che rimarranno più di 2/3 del campo a disposizione (infatti, se si riceve in zona 5 – 6 è anche possibile battere tra zona 1 e zona 6, in simulazione di gestione di una zona di conflitto).
Pertanto questo esercizio risulta efficace come allenamento specifico di ricezione, ma deve essere completato con un esercizio classico di ricezione a 3 che ricalchi il gioco (è possibile anche fare ricezione a 3 solo nel globale).

Un discorso analogo è fattibile con molti altri esercizi. Analizzate ogni vostro lavoro per scrutare quando e come è possibile aumentare le ripetizioni di un gesto tecnico, trarrete indubbiamente molti benefici.

16. Correzioni

Sulla teoria psicologica delle correzioni si potrebbero spendere molte parole. In questa sede ci limitiamo a fornire alcune linee guida ritenute importanti quando si corregge un esercizio:

  • La correzione riguarda lo scostamento del gesto eseguito dal modello tecnico fornito, non deve andare ad intaccare il giocatore in quanto persona.
  • La correzione tecnica deve essere fornita subito dopo l’esecuzione del gesto: in caso di errore è meglio far ripetere subito il gesto. Si è stimato che dopo circa 20 secondi il giocatore dimentica le sensazioni provate durante l’esecuzione del gesto, quindi la nostra correzione non ha più senso.
  • Non bisogna correggere i giocatori mentre stanno eseguendo un gesto tecnico, perché questa è una fonte di distrazione e, comunque, il consiglio non viene percepito (se il giocatore pensa al gesto, non può pensare alle nostre parole).
  • La correzione deve riguardare un solo errore per volta: se ci sono molti errori nel gesto tecnico, si individua il più grave o il più facile da correggere e si sistema quello, poi si passerà alle altre fasi.
  • La correzione deve essere precisa e concisa: simuliamo un time – out, quando in 30 secondi dobbiamo riorganizzare il gioco di tutta la nostra squadra.
  • E’ chiaro che la correzione deve essere data, ma bisogna stare attenti a non spezzare troppo o troppo frequentemente il ritmo del nostro esercizio, se questo è un parametro critico della fase allenante.
  • L’allenatore deve imparare a correggere i propri giocatori, ma deve anche insegnare ai giocatori ad auto – correggersi: soprattutto per gli esercizi analitici a gruppi, è importante che i giocatori imparino a correggersi o, quanto meno, a fornirsi un feedback.
  • Eventuali apprezzamenti personali vanno fatti in privato, non in pubblico.
  • La correzione non deve essere urlata con ira, altrimenti si rischia il blocco psicologico del giocatore.
  • L’approccio deve essere positivo, non bisogna razziare il giocatore che ha commesso un errore, ma fargli capire perché ha sbagliato e motivarlo.
  • Le punizioni non devono essere inflitte per errori tecnici (solo per disattenzione), visto che l’errore è parte del processo di apprendimento.
  • Il livello della correzione dipende dal livello della squadra.
  • L’errore da correggere è quello fisso, che si ripete: se c’è un errore occasionale si evidenzia facendo rifare il gesto e verificando che l’errore occasionale va via, quello fisso rimane.
  • Non bisogna perdere troppo tempo a correggere gesti tecnici che si ritengono complementari per l’esercizio (es. nell’esercizio per la ricezione non correggiamo la tecnica di battuta).
  • E’ buona norma verificare che i giocatori si stiano rendendo conto di ciò che stanno facendo ponendo loro delle domande, come “Perché hai sbagliato?”

17. Il Libero

Ha senso utilizzare il Libero quando veramente si dispone di un giocatore in grado di farlo: del resto, metteremmo mai a palleggiare un giocatore che non è in grado di fare un’alzata precisa?
E mi sento di aggiungere una cosa: quando scegliamo un giocatore come Libero, dobbiamo allenarlo a fare il Libero, non tutto e anche il Libero. Non ha senso. E la motivazione è presto detta: il ruolo del Libero è fortemente psicologico, quando il giocatore in questione commette un errore deve essere abituato ad andare subito oltre, altrimenti il crash psicologico è immediato: del resto il Libero non ha la possibilità di arrivare in prima linea e sfogarsi schiacciando!
Questo è un fattore che molti allenatori sottovalutano: allenano male il Libero, che sente comunque la pressione di miglior difensore addosso, ed al primo errore lo rimproverano severamente, mandandolo completamente in tilt.

Non ci si può improvvisare Libero, bisogna essere allenati a farlo.

E farlo, del resto, non è troppo complicato: basta fare in modo che in ogni esercizio egli sia impegnato in qualche fondamentale di appoggio, ricezione, difesa o alzata da seconda linea, quindi tecniche di palleggio, bagher, tuffo.

E’ del tutto inutile far schiacciare un Libero, è del tutto inutile fargli fare muro, è del tutto inutile farlo battere!
Perché perdere del tempo in questo modo? Vogliamo fare un esercizio di attacco? Bene, aggiungiamoci il Libero che fa un appoggio o una ricezione, avremo il vantaggio di allenare bene il nostro difensore senza perdite di tempo significative. Se disponiamo di un aiuto – allenatore, negli esercizi in cui non possiamo inserire il Libero, possiamo farlo allenare con il nostro aiutante: qualche esercizio di tecnica individuale di difesa (difesa in palleggio, difesa dopo spostamento, acrobatica) saranno molto più utili al nostro giocatore che non un quarto d’ora di schiacciate.

Come uno schiacciatore non può uscire dalla palestra senza aver schiacciato, il Libero non può uscire dalla palestra senza aver ricevuto e/o difeso.

Ultima nota, scegliete un buon Libero considerando queste capacità:

  • Ottima ricezione
  • Grande volontà in difesa
  • Corretta tecnica di difesa
  • Prontezza di riflessi
  • Predisposizione al tuffo
  • Elevatissima stabilità mentale
  • Capacità di “andare oltre” all’errore
  • Abilità di correre in tutto il campo a recuperare tutti i palloni
  • Spirito di sacrificio

18. Richiami: Fasi dell’apprendimento motorio

L’apprendimento motorio è l’apprendimento di un gesto. Si è verificato che questo apprendimento segue alcune tappe, indipendentemente dal gesto che si sta imparando.
Come si potrà notare, l’errore è parte costituente del processo di apprendimento, quindi non è giusto rimproverare (tanto meno punire) eccessivamente un giocatore per un errore tecnico.

[1] Modello

Viene fornito al giocatore un modello del gesto tecnico che si appresta ad imparare. La dimostrazione può essere fatta da:
Allenatore, se in grado
Allievo migliore (ipotesi un po’ remota se si sta introducendo un gesto mai visto da nessun componente della squadra).
Video, guardando una partita di alto livello.

[2] Tentativi

L’allievo prova ad imitare il modello tecnico fornitogli dall’allenatore. In questa fase gli errori sono del tutto normali.

[3] Prima esecuzione corretta

Prima o poi l’allievo arriverà alla prima esecuzione corretta del gesto richiesto. E’ fondamentale far capire al giocatore che ci è riuscito, in modo che memorizzi come ha fatto (basta dire “Bravo, è così!”). A questo punto si spronerà il giocatore a ricordare come ha fatto e ripetere il gesto in modo analogo.

[4] Fissazione del gesto

Un gesto è fissato quando l’allievo è in grado di eseguirlo correttamente con regolarità, ma solo nella situazione allenata (ad esempio, in quel particolare esercizio). E’ il classico risultato che si ottiene con gli esercizi analitici.

[5] Automatismo

Un gesto è diventato un automatismo nel momento in cui il giocatore lo utilizza correttamente in modo automatico, quando serve nella situazione di gioco. Si ottiene dopo la fissazione del gesto e dopo un lavoro accurato nel globale.

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4 commenti su “Teoria degli esercizi”

  1. Post molto interessante. Vorrei chiederti se ci sono dei riferimenti
    di libri, dvd… o altro per approfondire i concetti che hai espresso.

    Sarebbe utile se si facesse un esempio di piano di allenamento corretto con a fianco
    le motivazioni per cui si fa un certo esercizio, una certa rotazione…
    L’ideale sarebbe poter vedere su internet un tuo allenamento o una parte di esso.

  2. Tutti i miei allenamenti di quest’anno (quasi tutti) sono consultabili online sul VCS (www.andrea-asta.com/VCS), registrandosi ed effettuando il login. Va premesso che i miei sono allenamenti da allenatore alle prime armi, quindi non fucilatemi.

  3. Grazie Andrea.

    Mi chiedo a cosa serva “fucilare” un allenatore che vuole condividere la propria esperienza e
    confrontarsi con altri?
    A meno di avere altri intenti (sparo addosso a quello, cosi’ appaio piu’ importante, superiore,
    di un’altra categoria, appetibile ad altre societa’…), non serve a nulla.

    Gli allenatori dovrebbero confrontarsi di piu’, ma non e’ facile rimanere in questa ottica lungo
    la propria “carriera”.

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