Questa serie di articoli è una specie di “diario di bordo” dei miei pensieri, programmi, problemi, possibili soluzioni di quest’anno (2010/2011) da allenatore di un gruppo Under 14 maschile a Modena. Per me è stato il primo anno da allenatore di questa categoria, così ho avuto occasione di ragionare su molti aspetti per me nuovi e molto stimolanti. Cercherò in questi articoli di proporre tutti i temi che ho affrontato e i modi di lavorare che ho adottato in palestra. per poter avere consigli e pareri da chi ha più esperienza di me in questo campo. In questo primo articolo parlo di metodologia e organizzazione della stagione, nei prossimi parlerò più nel dettaglio di programmazione, contenuti tecnici ed esercizi maggiormente utilizzati.
[important]Per un documento completo di fine stagione sulla programmazione U14, si rimanda all’apposito articolo completo.[/important]
Introduzione
Il gruppo preso in considerazione è un gruppo di atleti, 16 per la precisione (dopo un periodo di “aggiunte iniziali”), abbastanza equamente divisi tra primo e ultimo anno di Under 14. La maggior parte di loro ha una anzianità di gioco superiore ai 5-6 anni (partendo dal miniVolley): sembra un dato trascurabile, ma mi sono reso ben presto conto di come di fatto non lo sia per niente! Io ero convinto, infatti, che in Under 14 l’obiettivo principale dell’allenamento fosse più che altro un insegnamento tecnico, ma è evidente che in giocatori di anzianità di gioco così elevata esistono già alcuni automatismi (purtroppo molto spesso errati) e quindi il processo è già di alta correzione, piuttosto che di insegnamento da zero.
Il gruppo partiva da una base tecnica piuttosto scarsa, con 6-7 giocatori di discreta qualità e gli altri più indietro. In generale, tutti partivano con dei grossi limiti fisici, soprattutto in altezza. A questo livello, chiaramente, questo implica alcune conseguenze, di cui si discuterà in seguito, sulle programmazioni tecniche e sugli obiettivi agonistici raggiungibili. Ritengo comunque che a questa età, soprattutto per i maschi, ogni previsione sullo sviluppo sia un po’ azzardata, e ci si possa limitare solo a fare delle ipotesi basandosi su alcuni segni del corpo (ad esempio, i peli sulle gambe) e sull’altezza dei genitori.
Altri paragrafi
- Volume di allenamento e di gara
- Tipologia di attività
- Scala di priorità
- Rapporto allenatore – atleti
- Costruzione di una squadra
- Rapporto con i genitori
- Metodologia di allenamento
- Gestione gara
Volume di allenamento e di gara
Fin da inizio anno sono stati previsti 3 allenamenti settimanali:
Lunedì
- Palestra con fondo parquet, alta e con ampio spazio ai lati
- Campo disponibile dalle 17 alle 20, utilizzato sempre dalle 17:30 alle 19:30, spesso fino alle 19.45 e in casi di necessità fino alle 20.00 (in generale, quindi, 2 ore e 15 minuti)
Mercoledì
- Palestra di medio – piccole dimensioni, fondo duro, molti strumenti a disposizione
- Campo disponibile dalle 17.30 alle 19.30
Giovedì
- Palestra molto piccola, con pochi strumenti e soffitto basso
- Campo disponibile dalle 16.30 alle 19.30, ma utilizzato solo dalle 17.30 (motivi logistici sia dei giocatori, che dell’allenatore)
La squadra ha partecipato a diversi tornei e campionati, e molte partite in casa sono state disputate al posto dell’allenamento del giovedì (a Modena, si spinge affinché le giovanili giochino durante la settimana, per garantire una migliore copertura arbitrale); il volume di gioco complessivo ha superato le 30 partite, ma la domanda più importante è: quante di queste partite sono state davvero significative? Anzitutto occorre definire il concetto di “partita significativa“: per me una gara è significativa se c’è il giusto equilibrio agonistico tale da consentire la vittoria o la sconfitta, dipendentemente dalla prestazione offerta dalle due squadre. A questo livello, invece, è molto facile incontrare avversari molto più deboli o molto più forti, che di fatto rendono l’evento più che altro una occasione per favorire il turn-over, piuttosto che un vero momento di crescita agonistica.
Tipologia di attività
La prima considerazione che ho fatto, durante l’estate, era di natura quasi “filosofica” sull’impostazione dell’attività che avrei svolto.
L’attività giovanile, a mio avviso, va vista come un progressivo avvicinamento all’attività di prestazione che caratterizza ogni forma di agonismo successiva all’età giovanile. La progressione non deve riguardare solo l’allenamento nella sua struttura e programmazione, ma anche l’educazione al rapporto con compagni e allenatori, nella costruzione della squadra, nel rispetto delle regole, nell’educazione alle politiche di turn over e così via.
Fino all’Under13 l’attività è a carattere quasi esclusivamente promozionale: quasi tutti i bambini giocano quasi lo stesso tempo, l’allenamento ha quasi sempre ed esclusivamente il carattere del gioco, l’interazione per le principali problematiche è quasi esclusivamente rivolta ai genitori eccetera.
In Under14 credo sia da iniziare, con progressività e non drasticità, il processo di crescita verso una attività più agonistica. Questo implica, ad esempio, inserire una metodologia più analitica e rigorosa su alcuni gesti tecnici (ma non solamente analitica e ossessiva, proprio per il principio di progressività), una interazione più diretta con i ragazzi (ma non totale ed esclusiva, proprio per il principio di progressività e soprattutto in relazione all’età anagrafica dei ragazzi), un maggior rigore nel rispetto delle regole e così via. Riguardo alle politiche titolari e riserve, credo sia l’età in cui si debba iniziare ad affrontare il problema, ma non relegando alcuni bambini in panchina per un anno intero. Io, ad esempio, ho un bacino di 8-10 giocatori che costituiscono la base principale su cui costruire i vari sestetti iniziali, ma cerco sempre, in ogni partita, di dare un po’ di spazio, seppur in maniera inferiore, a tutti. I ragazzi devono imparare a conquistare il risultato del miglioramento attraverso l’impegno e la costanza in allenamento: con esso, arriverà anche la soddisfazione di poter stare in campo e giocare.
E’ da tenere presente che i genitori sono ancora il punto di riferimento per la comunicazione per quanto riguarda condotta, educazione, puntualità, assenze e ritardi, mentre credo che per le questioni tecniche e di responsabilità in palestra si possa iniziare a parlare a quattr’occhi con i diretti interessati.
Scala di priorità
Ancor prima di parlare di programmazioni e tecniche, credo sia importante parlare di priorità assolute nella gestione della squadra.
La mia prima priorità è stata quella di definire e valutare il gruppo di atleti e staff. Io credo che non sia possibile pianificare uno sviluppo o un progetto senza una sufficiente conoscenza del materiale a disposizione e degli strumenti con cui lavorare. La metafora atleta-materiale e staff-strumento è decisamente macabra, ma forse aiuta a rendere bene l’idea. E’ inutile parlare di programmazioni tecniche se non si conoscono gli atleti a cui sottoporle, esistono differenze troppo marcate, specie a questa età, per fare progetti a priori. Allo stesso modo, è inutile parlare di metodologia di allenamento e gestione allenamenti e partite se non si sa chi, quando e come ci può aiutare. Nelle prime settimane di allenamento, quindi, ci siamo dati obiettivi tecnici molto ridotti e semplici, per aiutare a conoscerci meglio: da una parte, i ragazzi hanno potuto conoscere il mio metodo di lavoro, dall’altra io ho potuto conoscere le loro conoscenze tecniche e tattiche e, cosa da non sottovalutare, le loro esigenze come persone (prima ancora che come atleti!).
La seconda priorità è quella di definire le priorità tecniche e tattiche individuali e di gruppo. In altre parole, dobbiamo dare ai ragazzi nel minor tempo possibile degli strumenti per poter stare in campo e ottenere qualche vittoria. Ma non solo: i ragazzi devono essere consapevoli e resposabilizzati su quelli che sono i loro obiettivi tecnici a breve periodo. Personalmente, dopo il primo mesetto di allenamenti, ho parlato con ognuno di loro (è sufficiente un minuto o poco più!) per chiarire cosa mi aspettavo da loro, quali erano le singole potenzialità esaltabili nel breve periodo e in che cosa insistere molto durante l’allenamento tecnico). Questo mio obiettivo nasce da quattro semplici considerazioni:
- A qualsiasi livello, senza risultato non c’è soddisfazione
- A qualsiasi livello, senza soddisfazione non c’è motivazione
- A qualsiasi livello, senza consapevolezza precisa della richiesta non c’è dedizione all’obiettivo
- A qualsiasi livello, senza soddisfazione, motivazione e dedizione non può esserci risultato! (dove con risultato non dobbiamo intendere solo il senso agonistico, ovviamente)
La terza priorità è quella di definire i percorsi tecnici di crescita individuali e di gruppo. A questo livello, dove la specializzazione è molto ridotta (nel mio caso, ad inizio anno totalmente nulla), i percorsi possono essere abbastanza standardizzati: quello che cambia da giocatore a giocatore è il punto di partenza e la velocità di apprendimento. La costruzione dei percorsi tecnici dovrebbe avere una base sullo studio della propria squadra e uno sguardo verso il futuro, considerato che l’attività giovanile deve essere intesa come un percorso di formazione a lungo termine.
Rapporto allenatore – atleti
Ritengo che in questa fascia di età, piuttosto cruciale nella formazione dei bambini non solo come giocatori, ma anche come persone, il nostro ruolo non possa essere solo di insegnante di tecnica (tanto meno di allenatore), quanto più un vero e proprio educatore.
E’ chiaro che l’allenatore non deve porsi né come amico, né come “famiglia alternativa”, ma deve comunque porre attenzione agli aspetti legati alla condotta, al rispetto, all’educazione in senso generale dei propri atleti, sia nei confronti delle persone, che nei confronti dei luoghi e degli oggetti.
I bambini, e su questo io cerco di transigere poco, devono imparare ad avere un comportamento educato e rispettoso nei confronti di altre persone, che siano compagni, avversari, arbitri, allenatori o dirigenti. Devono poi ricordarsi che i luoghi che visitano (palestre, spogliatoi) sono luoghi e beni di tutti; troppo spesso la credenza è che un luogo di tutti sia un luogo di nessuno e come tale possa essere maltrattato. Credo invece che si debba instaurare la mentalità per cui una cosa di tutti è un bene prezioso, che va lasciata nelle stesse condizioni in cui vorremmo trovarla; nello specifico dei luoghi: puliti e ordinati. Riguardo al rispetto degli oggetti, io chiedo ai bambini di avere cura dei palloni, contarli ad inizio e fine allenamento (che non vuol dire che non lo faccia anche io), riporre i materiali quando abbiamo finito di utilizzarli e così via. Tutte queste richieste diventano ancora più importanti quando andiamo a giocare in trasferta.
Credo sia importante, comunque, iniziare da questa età un processo di responsabilizzazione e fiducia iniziale ai propri ragazzi: dal momento in cui iniziamo a dare regole e strumenti per la crescita dei ragazzi, allo stesso tempo dobbiamo far loro capire che la fiducia è facile da ottenere, facile da perdere e difficilissima da riconquistare. Cosa significa all’atto pratico? Ad esempio, se io dico che è responsabilità dei ragazzi lasciare lo spogliatoio in ordine, loro lo sanno e cercano di farlo. Ma io non entro in spogliatoio ad ogni fine allenamento per controllare, perché questo vuol dire non fidarsi per niente. L’unico aspetto su cui sono un po’ più ossessivo è sul conteggio palloni a fine allenamento, almeno per i primi mesi, perché in questo caso parliamo di una risorsa fondamentale e limitata, per cui non possiamo permetterci errori.
Nella costruzione del rapporto, credo che ogni allenatore-persona abbia dei propri obiettivi personali. Personalmente, vorrei instaurare con ogni mia squadra un rapporto di rispetto reciproco che non sia però un rapporto capo-schiavo, ma sia un rapporto ben più sereno, con alcune linee che io non posso sorpassare e alcune linee che i miei ragazzi non posso sorpassare. Cosa significa? Faccio due esempi:
- La linea che i ragazzi non devono superare è quella della serietà durante gli esercizi e dell’assoluto silenzio durante i miei discorsi pre-gara e nei time – out tecnici durante allenamenti e partite.
- La linea che io non devo sorpassare è quella della privacy e dei discorsi tra ragazzi: questo vuol dire, ad esempio, che io non entro mai o quasi mai in spogliatoio prima o dopo gli allenamenti, perché voglio che i ragazzi possano avere la loro intimità di squadra. Se io devo cambiarmi, lo faccio altrove o in altri momenti.
Definite le proprie linee, penso che sia giusto inserire momenti di scherzo, momenti di prese in giro, momenti in cui l’allenatore può scherzare coi ragazzi e viceversa. Finché ognuno è all’interno del proprio confine, credo sia giusto non creare un clima di tensione o paura, ma un clima il più possibile aperto: questo, spero, dovrebbe favorire la rilevazione e risoluzione di eventuali problemi psicologici o motivazionali.
La costruzione di un rapporto come sopra descritto passa da 4 momenti:
- Il primo approccio: per quanto cerchiamo di ignorarlo e dimenticarlo a lungo termine, il primo impatto ha sempre un forte ruolo nella costruzione del rapporto. Per me è importante che l’allenatore imponga la sua presenza in palestra come un punto di riferimento da rispettare. Per questo, nelle prime settimane, credo sia bene mantenere una linea molto formale e distaccata, evitando troppi giochini e momenti di scherzo. In questo modo viene definita la linea che i ragazzi non posso sorpassare.
- La costruzione del rapporto “maturo”: una volta definiti i confini, credo sia giusto iniziare a costruire quel rapporto di serenità di cui già parlavo prima, quindi con qualche momento in più per lo scherzo. L’obiettivo è che il ragazzo si appassioni sempre di più all’allenamento, che abbia sempre più voglia di venire in palestra, perché impara a giocare, perché si diverte e si sente completamente a suo agio. In questa fase la linea dei ragazzi viene avanzata.
- La fase di allontanamento: come è normalissimo che succeda, quando si “allenta un po’ la presa” è facile che i ragazzi continuino a spostare la loro linea di sorpasso sempre più avanti, arrivando ad esagerare. Questo periodo, che può capitare generalmente verso fine gennaio – febbraio, è del tutto normale ed è importante una seconda fase di allontanamento, possibilmente con un ragionamento guidato ai ragazzi (ma, se necessario, anche con delle punizioni), che devono finalmente venire a conoscenza dell’esatto rapporto che possono instaurare con l’allenatore, delle cose che possono e non possono fare. In questa fase la figura dell’allenatore come leader e punto di riferimento della squadra viene rafforzato in maniera decisa e spesso unilaterale.
- Il rapporto finale: alla fine, presumibilmente, il rapporto viene consolidato e la leadership è quella che intendiamo e desideriamo.
Per concludere, credo sia bene iniziare, quando necessario, già a questa età con i discorsi individuali con i ragazzi, non solo per affrontare problematiche comportamentali, ma anche per motivare e responsabilizzare i ragazzi dal punto di vista tecnico. E’ chiaro che, rispetto ai dialoghi con ragazzi più grandi, la differenza è nello stile comunicativo e nella durata, decisamente ridotta, dei dialoghi.
Costruzione di una squadra
Il processo di costruzione di una squadra è decisamente lungo e spesso molto difficile a questa età.
Senza entrare troppo nei dettagli della formazione di un gruppo, illustro alcuni stratagemmi che utilizzo in palestra con abbastanza soddisfazione:
- L’arrivo in anticipo: fin dal primo allenamento ho incoraggiato i ragazzi a farsi portare in palestra con un po’ di anticipo rispetto all’orario di inizio allenamento. In questo lasso di tempo i ragazzi possono fare ciò che vogliono, sempre e comunque. Se la palestra è libera, possono prendere i palloni e giocare a quel che pare loro (durante l’anno abbiamo comunque impostato alcune regole basilari per evitare traumi o infortuni in questa fase), se non è libera possono stare in spogliatoio e fare gruppo come meglio credono (io non entro in spogliatoio!).
- Le paste: su questo, credo non ci sia molto da aggiungere.
- Le cene di squdra: per quanto possibile, credo sia doveroso impegnarsi, con l’aiuto dei genitori, nell’organizzare almeno una cena ogni circa 2 mesi. Oltre all’evidente impatto sul gruppo, ha anche lo scopo, per noi allenatori, di osservare le dinamiche interne del gruppo fuori dall’ambiente palestra e di interagire con i genitori, per rassicurarli e motivarli (la gestione del rapporto con i genitori è tema del prossimo paragrafo).
- Le partite dei “grandi”: oltre all’impatto sulla costruzione del gruppo, il portare i ragazzi a vedere le partite dei grandi (della propria prima squadra, in primis, ma anche in serie A) ha un forte impatto motivazionale su di loro, per natura curiosi e portati all’imitazione. Noi, a Modena, abbiamo avuto la fortuna di riuscire ad organizzare una visione dei mondiali (Russia – Camerun) tutti assieme e abbiamo effettuato qualche osservazione e analisi assieme ai bambini (naturalmente qualcosa di rapportabile a loro e al loro immediato utilizzo); inoltre, i nostri ragazzini effettuano il servizio di pulizia campo alle partite in casa della B2 maschile.
- Nessuno esce dal campo prima degli altri: se per qualche motivo qualche giocatore viene trattenuto, a fine allenamento, per qualche minuto a fare della tecnica specifica, gli altri giocatori rimangono in palestra a guardare, incoraggiarlo, supportarlo, oppure rimangono a fare stretching o altre attività di defaticamento. Non esiste che, mentre alcuni compagni sono a sudare e faticare per tutta la squadra, altri siano beatamente sotto la doccia.
- Gli abbinamenti dei giocatori: a tutti i corsi sento sempre dirmi che “le coppie devono essere fatte in modo da abbinare giocatori bravi ad altri meno bravi, e separando i classici amichetti”. Io non sono d’accordo, o almeno non totalmente. Riguardo alle diverse abilità, devo creare gruppi di lavoro sicuramente abbastanza eterogenei, ma non abbastanza da far annoiare il giocatore più bravo. In tante esercitazioni, i giocatori meno bravi hanno proprio bisogno di esercizi facilitati, non solo di compagni più bravi. Per quel che riguarda il “cambiare compagno”, sono d’accordo sul favorire questa conoscenza estesa, ma non mi sembra molto logico il separare sempre i gruppi di “amichetti”, naturalmente a patto che lavorino adeguatamente: del resto, l’attività sportiva deve essere un vero divertimento e molte volte, soprattutto a quest’età, non è raro che un bambino inizi a giocare “perché gioca il mio amico”. Quello che io faccio è lasciare le coppie libere per almeno una seduta a settimana, salvo esercitazioni in cui ho altre necessità, obbligando poi i giocatori a cambiare compagno ogni volta nelle altre sedute; in altri casi, propongo esercitazioni in cui i gruppi iniziali sono liberi, poi vengono mescolati continuamente al progredire dell’esercizio (esempio banale che uso tantissimo: con elastico di traverso, lavoro 1 vs 1, dopo un certo tempo uno dei due campi effettua una “rotazione”, così vengono cambiate tutte le coppie).
- Il capitano: il concetto, astratto, di capitano deve essere introdotto e presentato già a questa età. In particolare, mi interessa presentare ai ragazzi il concetto di leadership, intesa come guida e motivazione morale dentro e fuori dal campo. Normalmente a quest’età il capitano è anche il giocatore tecnicamente più bravo, ma non è affatto detto. Io, durante le prime settimane dell’anno, occupo 5 minuti dopo il termine dell’allenamento per illustrare quelli che ritengo i punti fondamentali di un buon capitano e di un buon leader, poi si procede all’elezione, dove ogni giocatore e ogni allenatore ha un voto. Va precisato che capitani non si nasce, ma si deve imparare ad esserlo con il tempo e in questo processo è fondamentale l’apporto dell’allenatore! Io credo molto nella figura del capitano e nel dialogo con lui anche come forma di intermediazione con gli altri ragazzi.
- La doccia: la doccia ha sicuramente un ruolo cruciale nella formazione della squadra, ma io non mi sento ancora di obbligare i bambini alla doccia in palestra. Faccio continui incoraggiamenti e devo dire che nella mia squadra quasi tutti fanno già la doccia in palestra a quest’età. Sul forzare io personalmente non sono d’accordo, o almeno non a questa età, dove esistono enormi differenze di sviluppo che potrebbero portare i ragazzini più indietro ad avere molta vergogna e conseguenti blocchi psicologici nei confronti di altri compagni già più sviluppati.
- Il concetto di amico – avversario: per stimolare la competizione in allenamento, cerchiamo sempre dei momenti di giochi a punteggio, anche molto semplice (es. gioco 1 vs 1 con punto in schiacciata in salto che vale doppio), con dei premi per la vittoria delle singole giornate o di più giornate. Ad inizio anno, ho chiesto alla società uno stock di magliette vecchie, anche molto semplici, che utilizzo come premi per le vittorie.
- Il concetto di amico – compagno: è molto importante insistere coi ragazzini, anche con quelli più esuberanti, che in una squadra ci sono tanti compagni che insieme lottano per migliorare e vincere le partite e come tali vanno sempre aiutati e incoraggiati anche nei momenti di difficoltà.
- Il concetto di compagno – allenatore: io utilizzo moltissimo lavori in cui sono gli stessi bambini gli allenatori dei propri compagni, generalmente attraverso lanci. In questo caso la parola d’ordine che ribadisco di continuo è “esigente“. Chi ha il ruolo di lanciatore-allenatore ha un ruolo cruciale nell’allenamento del compagno, e deve essere molto attento e preciso in ciò che fa. Il compagno, invece, deve essere esigente dal proprio allenatore e dal suo lato fare sempre il massimo su ogni pallone.
Rapporto con i genitori
Tante volte il rapporto con i genitori è visto come un vero spauracchio da cui scappare o da temere. Personalmente, quest’anno sono stato molto fortunato, perché ho sempre avuto a che fare con persone prima di tutto intelligenti. Probabilmente, in U14 è anche più facile per l’allenatore gestire tutti i ragazzini e questo limita di molto i problemi dei genitori. Il genitore, come è naturale che sia, ha come interesse principale che il figlio giochi e generalmente, quindi, i problemi nascono nel momento in cui il ragazzo è relegato spesso e volentieri, se non addirittura sempre, in panchina.
In linea generale, credo che nel rapportarsi con i genitori siano importanti due principi:
- La non invasione da parte dei genitori della sfera tecnica e di valutazione tecnica, che è di assoluta e totale competenza dell’allenatore;
- Il principio del buon senso nell’applicazione di tutte le regole e le politiche, da parte sia dell’allenatore, sia dei genitori.
Ad inizio anno è mia consuetudine organizzare, prima o dopo il primissimo allenamento, una riunione tra staff e genitori, per illustrare i programmi della stagione che si accinge ad iniziare. Per me è molto importante, perché definire e stabilire regole e politiche prima ci dà una sorta di “assicurazione” verso successive problematiche di qualsiasi tipo. Per questo, è importante che questa riunione sia adeguatamente organizzata e preparata, e che la partecipazione dei genitori sia il più possibile estesa (se necessario, si possono fare due riunioni fotocopia in due date differenti). Tutti gli argomenti discussi devono essere adeguatamente scritti e consegnati ai genitori come “vademecum di inizio stagione”. Di seguito la scaletta della riunione svolta da me:
- Presentazione personale
- Presentazione logistica della stagione: allenamenti, campionati, obiettivi, tornei natalizi e pasquali eccetera;
- Modalità di contatto: telefono, email;
- Regole di squadra: dettagli dopo;
- Politiche: titolari e riserve, turn over;
- Modalità di comunicazione: sempre dopo gli allenamenti, mai prima e dopo le partite!
- Il principio del buon senso.
Riguardo alle regole di squadra, si tratta di dieci punti fondamentali di rispetto e collaborazione reciproca, che ho ritenuto di discutere e presentare sia ai genitori, sia ai ragazzi:
- A tutti i partecipanti all’attività è richiesto il massimo rispetto per persone (staff e giocatori), luoghi (palestre e spogliatoi) e oggetti (reti, palloni, altri strumenti).
- A tutti i partecipanti all’attività è richiesto il mantenimento di una condotta decorosa e di un impegno massimo prima, durante e dopo ogni attività.
- A tutti i partecipanti all’attività è richiesta la massima frequenza agli allenamenti: motivi di assenza sono malattia e problemi di studio (esclusi ovviamente problemi personali gravi).
- A tutti i partecipanti all’attività è richiesta la massima puntualità. All’orario stabilito, gli atleti devono essere già cambiati e pronti ad iniziare l’attività.
- Un sufficiente rendimento scolastico è condizione necessaria per prendere parte all’attività sportiva.
- Gli atleti devono indossare, durante l’attività in palestra, indumenti appositi: maglietta, pantaloncini, ginocchiere e scarpe da gioco. Le scarpe da gioco devono essere pulite e indossate in palestra.
- Lo spogliatoio è un luogo di tutti e come tale va rispettato: va lasciato sempre pulito e in ordine.
- Agli atleti sarà richiesta collaborazione con lo staff per la predisposizione e risistemazione degli strumenti utilizzati durante le sedute di allenamento.
- Agli atleti si consiglia di portare, ad ogni allenamento, una bottiglia d’acqua naturale.
- Agli atleti si consiglia di prendere la buona abitudine di fare la doccia in palestra dopo allenamenti e partite.
- REGOLA 0: Tutte le assenze e i ritardi previsti devono essere comunicati all’allenatore con sufficiente anticipo:
Esclusivamente per via telefonica (chiamata o SMS, no Internet!), se la comunicazione riguarda il giorno stesso; anche a voce, prima o al termine (non durante!) degli allenamenti, per problemi futuri. Per altre eventuali comunicazioni non urgenti, è possibile utilizzare anche l’email.
Ciò di cui sono fortemente convinto (ed è una cosa in cui la mia convinzione cresce ogni anno) è che tutto questo sia un ottimo punto di partenza, ma che la vera regola d’oro sia il già più volte citato principio del buon senso. Solo se si riesce ad essere totalmente aperti al confronto e al non imputarsi sugli errori comportamentali sporadici è possibile costruire un rapporto sereno e duraturo, sia con i ragazzi che con i genitori. Questo vuol dire, ad esempio, che sono contrario a dire “chi salta un allenamento non viene alla partita”, o “chi arriva tardi non si allena”, perché sono metodi tanto drastici da andare, a lungo termine, a castigare chi non ha colpa e soprattutto rischiano di minare poi la personalità dell’allenatore dal momento che una di queste regole non viene rispettata da lui stesso o in cui l’applicazione non avviene in maniera del tutto identica per tutti. Credo che ogni caso, ogni storia, sia un mondo a sé e che, a patto che da tutte le parti ci sia collaborazione e condivisione, si possa ottenere un giusto compromesso nell’applicazione delle regole. Infine, credo che prima di punire per il non rispetto di una regola sia importante parlare, discutere, confrontarsi e dare sempre una seconda (a volte una terza) possibilità.
Riguardo alle politiche di turn over, adotto un metodo piuttosto semplice e cioè “scelgo di volta in volta come comportarmi”: premesso che in un anno davvero poche volte mi è successo di avere tutti i 16 ragazzi convocabili (cause malattie, studi, infortuni, impegni familiari eccetera), è chiaro che si cerca sempre di favorire, nell’ordine:
- Chi può portarci a risultati migliori in campo, a patto che non ci siano questioni disciplinari alle spalle;
- Chi frequenta di più e si impegna di più negli allenamenti.
In parole povere, tolto il nucleo di 5-6 giocatori più grandi e bravi, che per ovvi motivi cerchiamo di portare sempre alle partite (e il motivo è così ovvio che mai nessuno potrà obiettarcelo), con gli altri, quando necessario, provvedo ad una sorta di rotazione, in modo da non lasciare sempre fuori gli stessi.
Riguardo alle politiche di titolari e riserve (sebbene non credo che a questo livello si possano utilizzare questi termini nel vero loro significato) seguo un principio molto semplice, in linea di massima: “chi è più bravo gioca di più“. Per me adottare politiche differenti ha poco senso, nell’ottica iniziale di avvicinarsi allo sport agonistico: salvo questioni disciplinari importanti, infatti, ad alto livello in campo scende chi gioca meglio. Proprio per questo motivo credo sia giusto favorire il miglioramento tecnico attraverso il premio del campo: ogni atleta deve impegnarsi sempre di più, per migliorare e quindi per conquistare sempre più spazio in campo. Naturalmente, ricordando che veniamo da una attività prettamente promozionale e, in ogni caso, ricordando tutte le buone regole di buon senso già citate e che permettono la lieta convivenza in una qualsiasi squadra di medio-basso livello, credo sia giusto favorire comunque un interscambio continuo dei giocatori: per me, se non riesco a trovare un modo per fare entrare (quasi) tutti i giocatori a (quasi) ogni partita, seppure per pochi punti, sono io allenatore ad essere stato non bravo. Troppe volte utilizziamo l’alibi del “quello è molto più scarso degli altri” per lasciare un povero bambino sempre in panchina: certo, può capitare qualche volta che, in partite particolarmente tirate e significative per l’attività agonistica, qualcuno rimanga tutto il tempo in panchina, ma questa non può essere una regola (soprattutto considerata valida l’ipotesi iniziale di un enorme numero di partite poco significative, dove fare più turnover è decisamente più semplice). Credo sia importante trovare quasi sempre un modo per far giocare quasi tutti (qualcuno per la battuta e il giro dietro, qualcuno per il giro davanti, e così via), in modo da dare soddisfazione nel breve periodo e utilizzare sempre un rinforzo positivo e un dialogo individuale coi ragazzi per incentivare a migliorare (“dai, questa è una cosa che ti viene benino, lavoraci intensamente e attento a questo-questo-questo-aspettotecnico, più migliori più riesco a farti giocare“).
Una pratica che ho iniziato ad utilizzare quest’anno, con ottima soddisfazione, è l’invio dei programmi degli impegni settimanali via email ai genitori. Ad inizio anno ho chiesto ai genitori un indirizzo email e la disponibilità a controllarlo almeno due-tre volte alla settimana; avendo ricevuto risposta affermativa, ho proceduto con tale modalità (estremamente comoda e decisamente più ecologica delle stampe e funzionale della memoria umana). Il programma è un semplice file PDF contenente, giorno per giorno, eventuali impegni in termini di allenamenti, partite, cene e quant’altro. I genitori, così, sanno da qualche giorno prima gli impegni dei ragazzi e possono comunicarmi per tempo eventuali problemi e indisposizioni.
(Nota per la lettura: le zone evidenziate sono semplicemente quelle “differenti” dalle solite routine setimanali, nel caso specifico un allenamento più lungo del solito).
Infine, ritengo opportuno e importante il dialogo individuale con i genitori, sia su richiesta mia, sia su richiesta loro. Credo sia importante, periodicamente, aggiornarli sullo stato di presenze e ritardi, sull’integrazione col gruppo e anche sui progressi tecnici. In questo modo i genitori sono rassicurati e sentono l’importanza che viene data ai loro figli e, d’altro canto, l’allenatore provvede ad una ulteriore assicurazione sul lavoro e sulle decisioni che ha preso e prenderà.
Fortunatamente, quest’anno, non ho avuto molte polemiche sulla gestione dei titolari e riserve, soprattutto perché credo che a questo livello, quando non si hanno troppe esigenze agonistiche (cosa del tutto normale, in qualsiasi società non di vertice), sia facile dare spazio a tutti, anche se in misure differenti. In ogni caso, credo che ogni spiegazione che noi allenatori dobbiamo dare ai genitori debba seguire questi principi:
- Le motivazioni devono essere essenzialmente di tipo tecnico e/o disciplinare, e nella sfera tecnica nessuno al di fuori dello staff tecnico ha competenze per giudicare;
- E’ importante dare un rinforzo positivo sul lavoro che i ragazzi svolgono, incoraggiando i genitori a spronarli all’impegno per ottenere dei risultati;
- E’ importante che i genitori escano da ogni colloquio con l’idea che “c’è qualcosa che si può fare” e che quindi il feedback che potranno trasmettere ai figli sia sempre positivo.
Metodologia di allenamento
Oltre alle già citate regole di buon comportamento, con i ragazzi ho discusso alcune regole metodologiche per l’allenamento in palestra, di cui ora riporto uno stralcio:
- E’ vietato allontanarsi dall’area di sorveglianza dell’allenatore senza autorizzazione
- All’inizio e alla fine dell’allenamento i palloni vanno contati
- Durante le spiegazioni, si ascolta in silenzio totale e senza giocherellare con i palloni
- Si beve dalla propria bottiglietta, che contiene solo acqua naturale
- I palloni si portano nel cesto, non si lanciano
- Non si lanciano palloni per la palestra, ma indietro verso il fondo campo
- Si deve urlare ad alta voce in caso di pericolo per i compagni
- Non lasciare oggetti di valore dentro gli spogliatoi
Riguardo allo stile comunicativo, sia in allenamento che in partita, credo che:
- I ragazzi debbano costruire una mentalità esigente sulle cose facili (che ad inizio anno può essere un semplice lancio, poi magari un palleggio e così via) e che l’allenatore debba insistere sempre su questo concetto anche con forti rimproveri;
- Nello stile delle correzioni, soprattutto in partita, è molto efficace utilizzare il più possibile lo scherzo e la “presa in giro” come mezzo comunicativo, piuttosto che un rimprovero urlato, che instaura un feedback molto negativo e alimenta la paura dell’errore e uno stato di chiusura verso il problema;
E’ importante parlare anche delle tipologie di richieste che facciamo ai nostri ragazzi: anzitutto, credo sia bene non essere esasperanti e ricordare che è normale in U14 che alcuni problemi coordinativi e tecnici siano correggibili solo con tanto tempo e grosso impegno, quindi non bisogna abbattersi (né tanto meno arrabbiarsi) se le cose non migliorano nel breve periodo o c’è forte altalenzanza (per altro normalissima nel processo di allenamento non solo dei giovani!). L’unica cosa su cui io insisto molto, ed è una filosofia molto teorica e facile da dire, ma ben difficile da instaurare e mettere in pratica, è che la squadra deve “essere esigente nelle cose facili“. Sulle cose facili dobbiamo pretendere molto da noi stessi (noi allenatori con i giocatori, i giocatori tra di loro e con se stessi), perché le cose facili sono le fondamenta su cui costruire le cose difficili, che sono l’obiettivo della crescita. Solo così si può creare un circolo virtuoso che porta al miglioramento. Come già detto, il concetto di “cosa facile” è molto astratto e fortemente legato al livello della squadra: come tale, si spera che sia anche un concetto altamente dinamico, ovvero che la “linea di demarcazione” tra facile e difficile si sposti sempre più avanti nel proseguio della stagione.
Riguardo al rapporto con l’agonismo, personalmente sono completamente d’accordo con la linea base secondo cui “l’attività giovanile è un processo a lungo termine, che ha come obiettivo la crescita tecnica dei giocatori”: in altre parole, l’allenamento e il percorso di crescita non devono essere sottomessi alle necessità agonistiche; l’unica eccezione è data da una considerazione che ritengo vitale, ovvero che “le partite si giocano per vincere” e non per partecipare! Una stagione fatta sempre e solo di sconfitte, non può che portare il morale a terra e quindi rallentare, spesso bloccare, il processo di crescita. Quindi, personalmente, io in partita non ho alcun timore a fare spostamenti di giocatore a muro (per mettere un ragazzo alto davanti ad un attaccante alto) o anche in difesa, cambi in prima o seconda linea e, alle volte, anche in battuta. Questo, per me, non è sottomettere le necessità agonistiche ai percorsi di crescita, ma fare il possibile per garantire una vittoria in campo; durante gli allenamenti, poi, si lavora quasi esclusivamente sulla crescita, con le eccezioni e gli obiettivi citati molto in precedenza (riguardo alle priorità a breve termine).
Gestione gara
Credo che lo spirito con cui l’allenatore debba affrontare la gara è che “i protagonisti della partita sono, e sempre devono essere, i giocatori“. Non gli allenatori, non gli arbitri, non i dirigenti. Nelle partite in cui non è così, si assistono sempre a scene di forte polemica, forti liti o addirittura situazioni ridicole e imbarazzanti. La pallavolo è di chi la gioca, gli altri sono al servizio di chi è in campo! Il mio desiderio è che una partita si ricordi sempre per le schiacciate dei giocatori, non per le manie di protagonismo di un arbitro, per le urla smisurate di un allenatore per tutta la partita, per le inferocite lamentele e urla di genitori ossessivi.
Riguardo all’organizzazione del pre – gara, io seguo questo protocollo:
- Ritrovo dei ragazzi in spogliatoio circa 60′-70′ prima dell’inizio gara (tempi accorciati in trasferta): in questa prima fase io non sono in spogliatoio, o ci sono semplicemente in veste di persona e non di allenatore. I ragazzi si cambiano con calma, vengono fasciati dove necessario, parlano e “cazzeggiano” quanto pare a loro.
- Circa 55′-50′ prima dell’inizio gara: l’allenatore entra in spogliatoio e inizia a parlare, gli atleti, fermi e in silenzio, seduti attorno all’allenatore (le panche vengono disposte a ferro di cavallo), ascoltano. In questa fase sono solito fare un breve ripasso della nostra tattica di gioco (mediante lavagnetta o dispense tecniche date ai ragazzi e che devono avere ad ogni partita), ovviamente generalmente ben scorrelata dall’avversario, seguita da una parte motivazionale e più rilassata; in seguito illustro velocemente il protocollo di riscaldamento che andranno ad eseguire, la probabile formazione di partenza e le responsabilità di ogni giocatore (ad esempio, chi sarà “palpabile” per il ruolo di alzatore, fino a quando questo è variabile). L’obiettivo è che i ragazzi vadano in campo con la consapevolezza di poter giocare bene, che abbiano ben chiari gli obiettivi tecnici e tattici individuali e di squadra e con la mente il più possibile concentrata e rilassata.
- Circa 40′ prima dell’inizio gara: breve parte (5′ circa) di riscaldamento fisico a terra libero (mobilità attiva in particolare per il tronco, addominali e dorsali vari), esercizi di lanci e palleggi a terne dai e segui paralleli a rete (5′-10′ circa), esercizi a coppie per l’appoggio in bagher e l’attacco perpendicolari a rete (nel frattempo, a giro, una coppia di alzatori lavora a rete con un piccolo protocollo per l’alzata, per un totale di 5′-10′ circa).
- Circa 20′-15′ prima dell’inizio gara: attacco a rete, ad inizio anno con palla che partiva dall’alzatore, poi con palla lanciata all’alzatore; l’obiettivo deve essere costruire il maggior numero possibile di situazioni di schiacciata, quindi, finché la tecnica di palleggio non è stabilizzata, sconsiglio di fare il classico esercizio degli adulti. Chi è in fila, attacca alla parete e alterna esercizi di rapidità dei piedi a scelta. L’obiettivo è arrivare alla fine del riscaldamento molto attivi e pimpanti (che non vuol dire stanchi!), mentre generalmente la tendenza è di fare un riscaldamento a intensità decrescente, cosa che mi pare un po’ insensata per il tipo di sforzo e impegno che richiediamo fin dal primo punto del primo set.
- Circa 7′-5′ prima dell’inizio gara: battute libere.
- Circa 5′ prima dell’inizio gara: fischio dell’arbitro per il fine riscaldamento.
Nella gestione di una gara, il rapporto con gli arbitri dovrebbe mantenersi il più possibile amichevole, sia in considerazione del livello, sia in considerazione del feedback altamente negativo che viene trasmesso in caso di proteste ecclatanti da parte dell’allenatore, verso i propri giocatori. Poi, logicamente, siamo umani e certe situazioni sono indescrivibilmente irritanti.
Riguardo ai time out, credo che ogni allenatore abbia il proprio stile, sia nel momento in cui chiamarli, sia nei messaggi da trasmettere. Personalmente, la politica che mi impongo assolutamente è quella di rimandare in campo i ragazzi con idee precise su cosa e come affrontare i problemi. Cerco di evitare frasi, per me assolutamente qualunquiste, del tipo “stiamo dormendo, sveglia”, “sembriamo svogliati”, “carichi!”, che per me non hanno alcun senso. Il ragazzo deve tornare in campo con la consapevolezza di avere i mezzi tecnici per affrontare l’avversario e spesso il ruolo dell’allenatore è proprio ricordare non solo il possedimento di questi mezzi (quando possibile), ma anche quali sono questi mezzi! Pertanto, a mio avviso, il time out deve avere principalmente contenuto tecnico-tattico. Riguardo allo stile comunicativo, valgono le considerazioni sopraccitate, anche se, ovviamente, non sempre si riesce a rimanere calmi, soprattutto quando gli errori riguardano le cose facili, su cui già abbiamo detto di dover essere esigenti.
Con questo si conclude il primo articolo; nel prossimo parlerò più specificatamente di contenuti tecnici. Sarò felice di aggiornarlo, modificarlo e sperimentare in seguito a consigli, pareri e critiche di altri allenatori. Buon lavoro a tutti.
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Questo è un bell’articolo sul muro:
Il muro è la risposta naturale di opposizione che i giocatori di rete mettono in atto in conseguenza all’attacco dell’avversario.
Tecnica del muro. Il muro consiste in un salto che si combina all’innalzamento delle braccia tese in alto, in modo tale da formare, con le mani, un piano di respinta del pallone verso il campo avversario.
L’esecuzione del muro si divide in quattro fasi:
1) posizione di partenza
2) caricamento
3) estensione
4) ricaduta
Posizione di partenza
Le gambe devono essere leggermente flesse, pronte a staccare
La distanza da rete deve essere di circa 50cm
Le braccia sono alte e con i gomiti davanti al viso
Le mani si trovano sopra l’altezza della testa e le dita sono bene aperte
I piedi devono essere paralleli, altrimenti la spinta in alto si tradurrà in una spinta in alto – avanti!
Caricamento
Ciò che caratterizza il caricamento è la chiusura dell’angolo tibio-tarsico, cioè quello tra la gamba ed il piede.
Estensione
è molto importante estendere gli arti superiori direttamente alto-avanti cercando una buona invadenza.
Ricaduta
Le gambe devono ammortizzare la ricaduta con un leggero piegamento; i piedi devono toccare terra più o meno contemporaneamente ed in buon equilibrio. Nella ricaduta, le braccia devono ritardare il più possibile il ritorno indietro, sia per aiutare a mantenere un buon equilibrio, sia per prolungare il tempo di efficacia del muro.
muro
PUNTI CHIAVE PER LA MIGLIORE RIUSCITA DEL MURO INDIVIDUALE
(Fonte: Vieira – Ferguson – VOLLEYBALL – Manuale di istruzione di base per allenatori e giocatori – Casa editrice: CALZETTI MARIUCCI)
Preparazione
1-Concentrarsi sull’alzatore
2-Dopo l’alzata concentrarsi sullo schiacciatore
3-Posizionare il corpo sul lato che schiaccia dello schiacciatore
4-Mantenere la posizione di attesa con le mani all’altezza delle spalle
5-Allargare bene le dita
6-Dopo il tocco dell’alzatore, piegare le ginocchia e alzare le mani
7-Mantenere la posizione alta durante lo spossamento
Esecuzione
1-Saltare dopo che ha saltato lo schiacciatore
2-Penetrare con le mani nel campo avversario
3-Tirare in dietro le mane
4-Ritornare a terra
5-Atterrare con entrambi i piedi
Prosecuzione
1-Piegare le ginocchia per attutire la discesa
2-Allontanarsi dalla rete
3-Guardare la palla
4-Ritornare nella posizione originaria
5-Prepararsi per l’azione successiva
Davvero molto interessante e sopratutto completissimo. Complimenti e grazie!