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Spunti: metodologia di allenamento con le giovanili maschili

Proceso_de_coachingNell’ambito delle attività legate alla Selezione Provinciale Maschile di Bologna, quest’anno abbiamo gettato le basi per alcuni incontri periodici rivolti soprattutto a neo-allenatori operanti nei settori giovanili della città. In particolare, l’idea è quella di organizzare alcune tavole rotonde per parlare dell’allenamento dei nostri settori giovanili “a tutto tondo”: gli incontri si svolgono tendenzialmente in concomitanza delle attività della Selezione Provinciale (o dei nostri progetti promozionali paralleli).

L’articolo che propongo di seguito – seppur qui leggermente modificato per renderlo “presentabile” – è stato il punto di partenza di queste discussioni: si tratta di spunti di riflessione per il lavoro con le giovanili maschili, risultato della mia – seppur non vastissima – esperienza in questi anni in palestra. Che le considerazioni siano giuste o sbagliate poco importa, ciò che ci interessava era principalmente avere un punto di partenza per avviare i nostri lavori. Lo condivido affinché possa essere ulteriore spinta per ulteriori discussioni. 

Attenzione allo stile con cui è scritto il documento! L’impostazione è molto schematica, poiché appunto nasce come avvio per una discussione, e contiene molti verbi “forti” (“deve”, “è fondamentale”…), non perché i pareri espressi siano necessariamente di valenza assoluta, quanto più per sottolineare e ben definire la mia personale scala di importanza/priorità.

Introduzione

In questo documento presento in maniera il più possibile chiara e sintetica alcuni degli aspetti che ritengo più importanti nell’allenamento di una squadra giovanile maschile. Ovviamente si tratta di considerazioni del tutto personali e che condivido prima di tutto per avere pareri, suggerimenti e intavolare una discussione che possa essere proficua per noi allenatori e, di riflesso, per i nostri giocatori. Le considerazioni che di seguito presento sono frutto degli ultimi anni di lavoro tra settore giovanile (di club e di selezione) e squadre seniores, nonché delle ormai lunghe e preziose collaborazioni con tanti colleghi operanti nel settore.

Sommario

  • Conoscere i modelli tecnici
  • Stabilire delle progressioni
  • Imparare a programmare
  • Come stilare un allenamento
  • Tecniche di individuazione e correzione degli errori

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L’individuazione del talento in U14

TalentoDi recente sto assistendo ad alcuni allenamenti di un gruppo Under 14 maschile. Ho visto un paio di ragazzini veramente bravi. Tuttavia, siccome non ho alcun modello di confronto a livello nazionale (mentre per gli U16 “ho” il Trofeo delle Regioni e per l’U18 le Finali Nazionali di giugno), mi è venuto da pormi la seguente domanda: “Quali sono gli elementi che ci fanno individuare un talento?.

Badate, la domanda può apparire in fondo banale e con puri scopi di curiosità, ma è tutt’altro che così. Dobbiamo sempre tener presente che uno degli obiettivi fondamentali per un allenatore giovanile è favorire l’esplosione del talento. Detto in termini brutali, se ho tra le mani un potenziale giocatore di serie A, devo fare del mio meglio per farcelo arrivare. E se non ho i mezzi per farlo (mezzi tecnici, ma anche fisici, come l’assenza di un gruppo valido con cui farlo allenare per sufficiente tempo), credo sia importante creargli qualche possibilità con società più blasonate.

In Under 14, secondo me, c’è un problema da non trascurare, almeno a livello maschile: lo sviluppo dell’atleta è appena all’inizio. Sia dal punto di vista fisico, che da quello tecnico. Nella mia Bologna, infatti, è raro vedere in queste realtà giocatori con già alcuni anni di esperienza alle spalle. E’ invece più normale creare gruppi completamente nuovi. Fatta questa premessa, è facile arrivare al vero fulcro del mio problema: “Il ragazzino che io giudico bravo, è un talento o risulta semplicemente bravo perché nella sua squadra è il più bravo?“.

Di recente, ho letto una frase di Davide Mazzanti (vice allenatore di Lorenzo Micelli a Bergamo in A1F), in cui citava appunto la ricerca del talento, che mi ha colpito e ritengo sia da riportare:

[…] A livello giovanile il talento non è nascosto nel fare bene 8 cose su 10, ma nel riuscire a fare una volta su dieci una cosa eccezionale… Sarai tu, con l’allenamento, a trasformare il suo talento in rendimento: buon lavoro!

(Davide Mazzanti, vice allenatore Volley Bergamo A1F)

Partendo da questa affermazione, che ritengo più che condivisibile, vorrei lasciare i miei lettori con alcune domande, sperando che il caso in questione possa risultare di interesse ed aprire il dibattito sulla ricerca del talento:

  • In U14M, quanto è importante l’aspetto fisico?
    • Qual è l’altezza media di un gruppo U14M di alto livello?
    • Quali sono i fattori che ci possono aiutare in una previsione grezza della crescita dell’atleta (esempio: altezza dei genitori)?
  • In U14M, quanto è importante l’aspetto tecnico?
    • Quanto è importante il servizio dall’alto? E’ necessario il servizio in salto?
    • Quanto è importante l’attacco da zona 4/2? Meglio precisione o potenza?
    • Quanto è importante il bagher d’appoggio e ricezione?
    • Quanto è importante il muro?
    • Quanto è importante il palleggio d’alzata?
  • In U14M, quanto è importante l’aspetto psicologico?
  • In U14M, quanto è impostante l’aspetto tattico?
  • Quali sono i gesti tecnici “tipici” che il talento riesce ad eseguire correttamente una volta su dieci in maniera eccezionale?

In altre parole, qual è il giusto mix per riconoscere un talento?

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L’impostazione del muro

MuroScrivo questo articolo perché ho cambiato parere riguardo ad una questione tecnica e, come diretta conseguenza, sono portato ad analizzare e criticare alcune mie scelte personali passate. L’argomento di discussione parte da una semplice domanda: “Quando ed in che modo è importante iniziare il lavoro sul muro con una squadra giovanile?“.

Ho sempre creduto che il muro fosse una questione, se così si può dire, di priorità inferiore rispetto ad altri fondamentali, quali possono essere la ricezione, l’alzata o l’attacco. Qualche anno fa, lavorando un gruppo U16 di livello francamente bassino, ho volutamente ridotto il lavoro su questo fondamentale, sia come lavoro di muro esterno che come muro dopo traslocazione per i centrali. Addirittura, ho completamente tralasciato il lavoro di traslocazione per i giocatori laterali.

Mi capita ora però di vedere alcuni atleti, anche più evoluti, avere problemi abbastanza vistosi in questo fondamentale, sia da fermi che, soprattutto, dopo una traslocazione verso l’esterno. Il muro a lettura, in più, è spesso difficoltoso, non tanto come capacità di analisi, quanto proprio come tecnica. Discutendo con bravi giocatori in questo fondamentale e con alcuni allenatori, mi è venuto da concludere che l’impostazione del muro debba essere data quanto prima.

Ora, dobbiamo premettere che rimango fermamente convinto che alcuni accorgimenti si possano applicare solo quando il livello di gioco, della propria squadra e/o del proprio campionato, lo permetta. In particolare:

  • E’ inutile inserire il muro in lettura se nessuno gioca primo tempo
  • E’ inutile (anche rischioso in quanto a dinamiche di gioco) inserire il concetto di assistenza se nessuna squadra gioca primo tempo efficace
  • E’ inutile inserire il concetto di muro in parallela o diagonale se le direzioni d’attacco sono assolutamente scontate
  • Il muro rimane comunque un lavoro cui dedicare, a mio avviso, meno tempo rispetto ad altri aspetti tecnici prioritari per le varie fasce d’età (si legga, tra gli altri, il materiale di Paolini per maggiori informazioni)

Ritengo altresì che ci siano alcune basi tecniche che debbano essere inserite quanto prima, proprio per facilitare la crescita tecnica dei propri atleti. In particolare, ci sono tre aspetti che credo vadano considerati basilari, anche per un gruppo molto giovane:

  • L’uscita delle mani oltre la rete (e il conseguente orientamento del piano di rimbalzo)
  • Il tempo di salto
  • La posizione di muro

L’uscita delle mani oltre la rete consiste nel fatto di piazzare le mani direttamente nell’altro campo (impostazione di muro invadente), con le braccia già orientate verso il centro del campo avversario, le dita aperte e le braccia come proseguimento del corpo, senza oscillazioni. Da segnalare anche l’importanza della discesa a gomiti stretti, per evitare colpi con eventuali compagni di fianco.  Il problema delle “mani lanciate“, ossia spostate quando sono già oltre la rete, è abbastanza evidente nelle serie minori ed è una delle cause principali del mani-out. Riassumendo, credo che i punti principali da considerare in questo caso siano:

  • Le braccia coprono il cilindro del corpo (non fuori)
  • Le mani invadono direttamente il campo avversario (non prima in alto e poi in avanti)
  • Le braccia escono da rete già con la giusta orientazione (nessun movimento durante il volo)
  • Le dita aperte fin dall’uscita da rete (non chiuse)
  • Posizionamento del pollice non in fuori (prevenzione traumi)
  • Discesa a gomiti stretti (prevenzione traumi)

Il problema del tempo di salto è un altro grande classico, cui spesso non si fa molto caso, ma che, se analizzato con attenzione, è una lacuna di tantissimi giocatori. L’effetto indesiderato è quello di saltare insieme all’avversario (parliamo di attacco esterno) e, conseguentemente, murare in fase di discesa, o addirittura non riuscire a murare (e credere poi che “ci siano passati sopra“). I riferimenti che possiamo dare ai nostri giocatori sono innumerevoli, quello con cui io mi sono trovato meglio è questo: saltare quando l’avversario apre la spalla per colpire. Chiaramente, questo riferimento è riferito ad un attacco di prima linea eseguito con “tecniche abbastanza standard”: dobbiamo infatti tenere presente che ogni attaccante ha un proprio tempo del braccio in attacco e, conseguentemente, deve corrispondergli un corretto tempo di muro.

A proposito di tempo di salto, c’è un altro punto che vorrei portare all’attenzione di tutti e su cui sto cercando di documentarmi. Parlo del caricamento delle gambe e del rispettivo tempo. Così come per l’attacco diamo un riferimento sulla rincorsa (ad esempio, sul secondo tempo diciamo qualcosa di simile a “parti con destro – sinistro quando il palleggiatore tocca la palla”), per il muro dovremmo trovare un riferimento per il caricamento. Infatti, si vedono atleti molto differenti in quanto a caricamento delle gambe e, di conseguenza, il riferimento generale di saltare al caricamento della spalla non può essere universale neppure dal punto di vista interno (ossia riferito a chi mura).

Riguardo alla posizione di muro, anche questo aspetto è spesso trascurato, sia come distanza da rete, che come posizionamento di fronte all’attaccante. Esistono alcuni riferimenti che possiamo dare ai nostri giocatori, che riporto di seguito. In maniera sintetica possiamo dire che:

  • La distanza da rete è misurabile con il gomito (distanza gomito – spalla o gomito – pugno)
  • Dobbiamo posizionarci in modo da avere il nostro sterno davanti alla spalla che attacca (muro sulla rincorsa)

La tappa successiva è quella di eseguire ogni lavoro di muro dopo una piccola traslocazione, che può partire anche da un semplice passo accostato. All’inizio il focus non sarà tanto sulla tecnica di spostamento, quando sulla posizione di arrivo e sulla corretta esecuzione dei punti sopra descritti. Con il crescere dell’età degli atleti e degli obiettivi di squadra, chiaramente, alcune tecniche andranno leggermente riviste, in base al proprio gioco ed alla naturale progressione tecnica. Parlo, ad esempio, del muro in lettura, del muro dal centro e dai vari posizionamenti nei muri esterni.

Dopo aver parlato del “cosa“, cerchiamo ora di analizzare il “quando“. C’è un grosso scoglio da superare, ovvero la gestione dell’atleta che non supera la rete. In questo caso ci sono due scuole di pensiero:

  • Non lavorare sul muro finché buona parte della squadra non è in grado di uscire minimamente da rete
  • Impostare ugualmente il lavoro sul muro, anche se il giocatore non esce da rete

E, di seguito, alcune considerazioni a favore di una o l’altra tesi:

  • Un atleta basso può crescere e, se avrà già svolto un lavoro analitico, potrà essere notevolmente avvantaggiato
  • Con alcuni accorgimenti, alcuni esercizi si possono fare anche con giocatori bassi (muro da una sedia senza salto, rete bassa eccetera)
  • Un atleta basso è inutile a muro e potrebbe allenarsi in gesti a lui più utili
  • Un atleta basso considera inutile lavorare sul muro e non è motivato
  • Se non faccio lavorare un atleta sul muro, è insensato farglielo fare in gara, ma questo comporta l’utilizzo di schemi abbastanza complessi e poco standardizzabili

Non credo si possano dare riferimenti assoluti in questo senso. Personalmente, ad oggi, penso che nel momento in cui l’atleta riesca ad uscire anche con una falange, sia ora di iniziare il lavoro, se non lo si ha già fatto. A parte questo rimango sempre fedele al principio secondo cui non esistono regole standard, ogni squadra è formata da persone completamente diverse tra loro e diverse da quelle delle altre squadre, pertanto ogni allenatore dovrà essere bravo a capire cosa sia giusto per il proprio gruppo e cosa invece sarà rimandabile ad un successivo momento. Ciò che mi sento di dire (e di auto – criticarmi guardandomi indietro) è tuttavia che penso sia importante iniziare un buon lavoro di muro anche con gli atleti più giovani e non, banalmente, decidere di trascurare questo fondamentale in favore di altri.

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Sui propedeutici

ChimicaDefiniamo esercizio propedeutico un esercizio che ci avvicini all’esecuzione di un gesto tecnico. Di per sé il movimento non è quello finale, ma ci assomiglia. Il problema che vorrei affrontare oggi, su cui vorrei aprire un dibattito, è il seguente: quanto deve essere somigliante un propedeutico al gesto tecnico reale?

Non avendo mai allenato né un MiniVolley né un Under 14 (o più in basso), non mi sono mai trovato di fronte al problema di affrontare con meticolosità tutta la serie di propedeutici necessari per far famigliarizzare un bambino con i gesti di base del nostro sport (palleggio e bagher d’appoggio, schiacciata…). Tuttavia, nei giorni scorsi ho visto alcuni allenamenti di ragazzini piccoli e ho visto eseguire alcuni propedeutici che ritengo un po’ avventati.

Un esempio su tutti, propedeutico al palleggio: “Lancio la palla, corro sotto, la blocco a braccia distese, poi piego alla fronte e lancio”. A mio avviso questo propedeutico è sbagliato. E’ sbagliato perché mi dà l’idea che si cerchi di fissare nel giovane atleta il concetto che per palleggiare dobbiamo portarci sotto la palla con le braccia distese e poi fletterle, salvo poi distenderle nuovamente. Capiamo bene che questo non ricalca la realtà, poiché il palleggio non si esegue in tre tempi distinti (preparazione – flessione – distensione), ma con il solo blocco preparazione – distensione. Ricordo, anzi, molto bene, il lavoro estivo con alcune atlete che avevano appunto il problema di rallentare l’esecuzione del palleggio, inserendo movimenti extra e superflui tra la fase di preparazione e quella di distensione.

Mi domando allora in base a cosa dobbiamo scegliere i propedeutici, cercando di raggiungere questo duplice obiettivo:

  • Lavorare analiticamente su una parte del gesto tecnico da insegnare
  • Non creare presupposti per il fissaggio di meccanismi errati

A mio avviso, prima di inserire un esercizio in una nostra progressione, dobbiamo eseguire lo sforzo di ripercorrere le varie tappe del gesto tecnico finale dal punto di vista della teoria. In seguito, passeremo ad analizzare con razionalità il nostro esercizio, per capirne pregi e difetti. Una volta sicuri, lo proporremo in palestra. Chiaramente, non dobbiamo dimenticare tutta quella serie di buone regole per la creazione di esercizi, che riguardano quindi la possibilità di correggere, l’elevato numero di ripetizioni, il divertimento e quant’altro, accettando però qualche compromesso nelle primissime fasi, in favore della possibilità di correggere il maggior numero di bambini. Riassumendo:

  1. Ripasso teorico del gesto tecnico finale
  2. Analisi dell’analogia del propedeutico con un frammento di gesto tecnico
  3. Assenza di possibilità di fissaggio di meccanismi errati
  4. Confronto dell’esercizio con i criteri di creazione di buoni esercizi
  5. Esecuzione pratica in palestra

L’esercizio prima proposto ha anche un secondo problema: è troppo difficile per atleti che non hanno mai giocato a pallavolo. E’ difficile perché, se ci si pensa, presuppone la conoscenza dei seguenti schemi motori:

  • Lancio della palla
  • Spostamento
  • Posizionamento
  • Esecuzione del gsto

Se noi dobbiamo insegnare il gesto tecnico, dobbiamo anzitutto isolarlo. Se invece inseriamo anche le altre tre fasi, è logico aspettarsi errori di lancio, errori di spostamento, errori di piazzamento e quant’altro. Conclusione: esisterà una elevata quantità di ripetizioni in cui il vero errore non è nel gesto tecnico, ma nelle fasi precedenti!
Per concludere con un po’ di completezza, penso che una valida alternativa all’esercizio proposto fosse quella di bloccare la palla con le braccia già cariche, sopra la fronte, per poi effettuare solo la spinta. Riguardo allo spostamento, credo che questo sia una fase già successiva, da utilizzare dopo altri propedeutici più semplici. Ad esempio, io partirei con lavoro con lancio dell’allenatore preciso al bambino, bloccaggio alto e spinta. In seguito si passa al lancio preciso (quanto possibile) del compagno, poi al lancio spostato e così via. Ma, prima di tutto, sarà importante fissare il corretto gesto tecnico.

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Regional Day 2008

FIPAV CRERQuest’oggi ho avuto l’onore ed il piacere di collaborare con lo Staff del Regional Day dell’Emilia Romagna. Per chi non lo sapesse, si tratta di una giornata intera di volley giovanile (maschile), i cui allenamenti sono gestiti dallo Staff Nazionale, nella fattispecie da Gigi Schiavon (allenatore della Nazionale Juniores) e dal suo vice Luca Cantagalli. Il tutto coordinato dallo staff del regionale, ossia lo Zio (chi è di Bologna sa bene di chi sto parlando) e Luca.

Sfrutto queste due righe come fossero un blog, per raccontare le procedure di selezione e l’organizzazione della giornata, che possono comunque essere molto interessanti.

Anzitutto, la divisione per annate: la mattina (9.3o-12.30) gli 89-90-91, il pomeriggio (15.30-18.30) i 92-93-94. I primi con requisiti piuttosto restrittivi (1.95 di altezza, oppure selezioni regionali in passato, oppure campionati di livello nazionale in carriera), mentre i secondi, chiaramente, un po’ più elastici (forse anche troppo). Conclusione: 20 ragazzi alla mattina e ben 35 al pomeriggio.

L’allenamento era, a grandi linee, così strutturato:

  • Riscaldamento e lavoro fisico con Schiavon
  • Lavoro di riscaldamento tecnico a coppie e terne
  • Lavoro tecnico e globale, più test

Di mattina, il lavoro tecnico e globale è stato suddiviso in una fase sintetica ed in una globale, con accenti sugli attacchi di palla alta, sul muro e sulla difesa. Al pomeriggio, a causa dei numeri, più spazio all’analitico a coppie e terne e al gioco.

Dal punto di vista dei test, abbiamo eseguito:

  • Rilevazione dell’altezza
  • Rilevazione del reach ad una mano
  • Salto con contromovimento al Vertek
  • Salto con rincorsa al Vertek

Abbiamo visto dei bei numeri, con anche la soglia di 3.40 metri superata da alcuni ragazzi e, ad occhio, una media attorno ai 3.30 per il gruppo mattutino.

Apro una parentesi dolente: Bologna. Zero giocatori alla mattina, qualcuno al pomeriggio, che non so se riuscirà a passare la selezione. Dove sono i nostri giovani? Sono al basket, sono al calcio. E quelli che sono a pallavolo non sono allenati bene. Torniamo al famoso discorso di gennaio. Ci sarà qualcosa da fare per invertire questa tendenza? Qualcosa di concreto, non qualcosa di banale, come la solita frasetta che tutti conosciamo a memoria, ovvero che alle giovanili ci vogliono gli allenatori bravi. Lo sappiamo già e sappiamo anche già il motivo per cui non ci sono (costano troppo, ci sono pochi progetti seri in giro e così via). C’è qualcosa di concreto che si possa fare? Forse sì, forse qualche idea c’è già in giro. Ma chi sarà ad attuarla? O meglio, ci sarà qualcuno in grado di fare qualcosa? O veramente, tra 5 anni, qui da noi ci sarà solo il femminile?

Chiusa la parentesi. Schiavon ha fatto i complimenti per l’organizzazione. In effetti, non ci siamo fatti mancare proprio niente: due campi in parquet (nel bellissimo palazzetto di Budrio), telecamera con montaggi dei DVD, due portatili, stazione vertek, stazione altezza e reach, trenta palloni ed oltre, una decina di allenatori tra le varie stazioni e l’assistenza in campo, bar dentro la palestra, spaziosa tribuna per visitatori e genitori e tanto altro. Insomma, decisamente tutto molto bello.

E io cosa c’entro in tutto questo? Beh, diciamo che ho avuto l’opportunità di partecipare e non me la sono lasciata sfuggire. Di mattina ho lavorato ad uno dei due portatili per la creazione delle schede dei giocatori, mentre di pomeriggio sono stato più attivo nei campi come assistenza durante le fasi a terne. Veramente molto felice dell’esperienza e, di questo, non posso che ringraziare di cuore lo Zio.

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Torneo Presepe della Marineria a Cesenatico

Sono da poco tornato da Cesenatico, dove, con i miei giovani superstiti (tra malattie, genitori, vacanze) ho preso parte al Torneo “Presepe della Marineria” a Cesenatico.
Un sincero applauso all’organizzazione, impeccabile sotto ogni punto di vista. Le strutture del Camping sono in ottimo stato, forse giusto le docce andrebbero riviste. I tempi sono stati calcolati alla perfezione e gli organizzatori, Luca e Luigi, sempre disponibili e presenti. Così come sono sempre disponibili e presenti gli altri membri dell’organizzazione, che non ho avuto il piacere di conoscere direttamente.
Pallavolisticamente parlando, oltre all’U18 Maschile (cui io ho partecipato con quattro ‘92, due ‘90 e due supporti, fondamentali, dell’Iride Volley di Modena), c’era il torneo U16 Femminile.

Il livello del femminile era a dir poco mediocre. Tendente al nullo. Sembrava di vedere, a volte, ragazze che non abbiano mai visto un campo ed una palla. Ma il femminile non è il mio campo, pertanto non mi intrometto.

Nel maschile il livello era decisamente buono. D’accordo, alcune squadre (POOL, Cesena) erano selezioni territoriali e, quindi, è quasi normale che il livello sia buono. D’accordo, è possibile che il fatto che alcuni giocatori U18 facciano la D e si allenino con qualche B2 possa avvantaggiarli non poco. D’accordo, è anche possibile che sia capitata un’annata particolarmente buona. Però io non ho mai visto, a Bologna, un U18 maschile a livelli di quelli visti in questi 3 giorni. Forse la Zinella Volley ci sta andando vicina quest’anno, ma credo avrebbero faticato molto anche loro.

La riflessione è, principalmente, uno spunto per una meditazione, che dovrebbe coinvolgere i dirigenti, gli allenatori, gli amanti della pallavolo nella mia città. Qual è il problema? Sono gli allenatori ad essere scarsi? Sono i dirigenti ad essere incompetenti? E’ la materia prima (i giocatori) a scarseggiare? E’ la materia prima (i giocatori) ad essere di bassa qualità? E’ la politica sportiva adottata che non funziona? C’è disorganizzazione locale a livello societario? Sono i genitori ad essere troppo assillanti ed ostacolisti?

Forse alcuni allenatori (per carità, mi ci metto in mezzo anche io) veramente trascurano troppo la tecnica. Forse neanche sanno veramente insegnarla. Forse alcune società non capiscono che devono lavorare nelle scuole, per reclutare future promesse. Perché un U18 che gioca insieme da 2 anni è quasi certamente debole, rispetto ad un U18 formato da ragazzi che sono partiti dal MiniVolley. Forse le spese sono eccessive. A volte anche immotivate. Forse manca il coinvolgimento dei genitori. Forse manca dirigenza qualificata. Forse manca un progetto serio per risollevare la pallavolo, un progetto che la FIPAV, per una volta, non voglia ostacolare. Forse, perché no, essendo la materia prima così scarsa, ci si deve accontentare di quel che capita. Forse qualche volta si punta troppo alla quantità e troppo poco alla qualità.

Sparkling Milano è venuta con un U16, una allenatrice ed un dirigente. Penso che questo U16 avrebbe potuto battere molte formazioni U18 di Bologna. Sono tecnicamente più raffinati. E credo che non sia poco. Il motivo per cui l’U18 era a livelli alti è che la maggior parte dei giocatori, oltre ad essere molto dotata fisicamente, è anche tecnicamente raffinata. Non credo si allenino 10 volte a settimana. Credo che il sistema sia più organizzato, credo che esista una società in grado di raccogliere tutte le “giovani promesse” per farle crescere veramente tutte insieme. Credo che i genitori siano “quasi amorevolmente obbligati” a prendere parte alle attività societarie, come le partecipazioni ai Tornei. Credo altresì che il sistema organizzativo sia migliore. E, perché non dirlo, credo che anche i tecnici siano migliori.

A Bologna bisogna ripartire da zero. Bisogna che si formino staff competenti e specializzati. Bisogna che qualcuno si faccia carico di creare giocatori veramente tecnicamente capaci. Perché, in giro per l’Italia, di pallavolo buona ce n’è ancora.

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