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Torneo Presepe della Marineria a Cesenatico

Sono da poco tornato da Cesenatico, dove, con i miei giovani superstiti (tra malattie, genitori, vacanze) ho preso parte al Torneo “Presepe della Marineria” a Cesenatico.
Un sincero applauso all’organizzazione, impeccabile sotto ogni punto di vista. Le strutture del Camping sono in ottimo stato, forse giusto le docce andrebbero riviste. I tempi sono stati calcolati alla perfezione e gli organizzatori, Luca e Luigi, sempre disponibili e presenti. Così come sono sempre disponibili e presenti gli altri membri dell’organizzazione, che non ho avuto il piacere di conoscere direttamente.
Pallavolisticamente parlando, oltre all’U18 Maschile (cui io ho partecipato con quattro ‘92, due ‘90 e due supporti, fondamentali, dell’Iride Volley di Modena), c’era il torneo U16 Femminile.

Il livello del femminile era a dir poco mediocre. Tendente al nullo. Sembrava di vedere, a volte, ragazze che non abbiano mai visto un campo ed una palla. Ma il femminile non è il mio campo, pertanto non mi intrometto.

Nel maschile il livello era decisamente buono. D’accordo, alcune squadre (POOL, Cesena) erano selezioni territoriali e, quindi, è quasi normale che il livello sia buono. D’accordo, è possibile che il fatto che alcuni giocatori U18 facciano la D e si allenino con qualche B2 possa avvantaggiarli non poco. D’accordo, è anche possibile che sia capitata un’annata particolarmente buona. Però io non ho mai visto, a Bologna, un U18 maschile a livelli di quelli visti in questi 3 giorni. Forse la Zinella Volley ci sta andando vicina quest’anno, ma credo avrebbero faticato molto anche loro.

La riflessione è, principalmente, uno spunto per una meditazione, che dovrebbe coinvolgere i dirigenti, gli allenatori, gli amanti della pallavolo nella mia città. Qual è il problema? Sono gli allenatori ad essere scarsi? Sono i dirigenti ad essere incompetenti? E’ la materia prima (i giocatori) a scarseggiare? E’ la materia prima (i giocatori) ad essere di bassa qualità? E’ la politica sportiva adottata che non funziona? C’è disorganizzazione locale a livello societario? Sono i genitori ad essere troppo assillanti ed ostacolisti?

Forse alcuni allenatori (per carità, mi ci metto in mezzo anche io) veramente trascurano troppo la tecnica. Forse neanche sanno veramente insegnarla. Forse alcune società non capiscono che devono lavorare nelle scuole, per reclutare future promesse. Perché un U18 che gioca insieme da 2 anni è quasi certamente debole, rispetto ad un U18 formato da ragazzi che sono partiti dal MiniVolley. Forse le spese sono eccessive. A volte anche immotivate. Forse manca il coinvolgimento dei genitori. Forse manca dirigenza qualificata. Forse manca un progetto serio per risollevare la pallavolo, un progetto che la FIPAV, per una volta, non voglia ostacolare. Forse, perché no, essendo la materia prima così scarsa, ci si deve accontentare di quel che capita. Forse qualche volta si punta troppo alla quantità e troppo poco alla qualità.

Sparkling Milano è venuta con un U16, una allenatrice ed un dirigente. Penso che questo U16 avrebbe potuto battere molte formazioni U18 di Bologna. Sono tecnicamente più raffinati. E credo che non sia poco. Il motivo per cui l’U18 era a livelli alti è che la maggior parte dei giocatori, oltre ad essere molto dotata fisicamente, è anche tecnicamente raffinata. Non credo si allenino 10 volte a settimana. Credo che il sistema sia più organizzato, credo che esista una società in grado di raccogliere tutte le “giovani promesse” per farle crescere veramente tutte insieme. Credo che i genitori siano “quasi amorevolmente obbligati” a prendere parte alle attività societarie, come le partecipazioni ai Tornei. Credo altresì che il sistema organizzativo sia migliore. E, perché non dirlo, credo che anche i tecnici siano migliori.

A Bologna bisogna ripartire da zero. Bisogna che si formino staff competenti e specializzati. Bisogna che qualcuno si faccia carico di creare giocatori veramente tecnicamente capaci. Perché, in giro per l’Italia, di pallavolo buona ce n’è ancora.

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Allenamento al freddo

Vi prego di leggere questo articoletto e di commentarlo. Ve lo chiedo come favore personale. Leggerlo e commentarlo. Prometto di essere sintetico e conciso.

Svolgo due dei miei tre allenamenti settimanali in una palestra indecente. Tralasciando il fatto che il soffito sia basso (molto basso) , che i montanti della rete sono difettosi e che la rete stessa abbia parecchi rattoppi, si è venuto a creare un problema molto serio. La palestra è mal riscaldata. Venerdì scorso abbiamo misurato la temperatura alle 19.30 e c’erano 14°C. In altre giornate penso la temperatura sia stata anche inferiore, specialmente verso la fine degli allenamenti, alle 21.40. Un freddo bestiale. Gli aerotermi sono accesi dalla mattina, ma sono insufficienti. Funzionano bene, a detta dei tecnici. Sono semplicemente sottodimensionati, rispetto alle dimensioni dell’ambiente da riscaldare. Abbiamo chiesto adeguamenti al Comune di Bologna, ma pare che il nostro appello continui a passare inosservato da circa 3 anni (sono 3 anni che frequento la palestra e sono 3 anni che faccio presente questo problema, insieme con i dirigenti della Società).

Per colpa del freddo, mi è già capitato due volte di avere atleti bloccati per problemi muscolari, in cui buona parte della colpa penso vada attribuita alle rigide temperature dove siamo costretti a lavorare. Parliamo di allenamenti in cui ci impegnamo molto durante il riscaldamento, ci stiamo attenti. Impieghiamo anche più di mezz’ora, con felpe e felpone, corse, corsette, stretching, mobilità, lanci, palleggi, bagher e chi più ne ha più ne metta. Ma non basta. Le rigide temperature creano problemi a chiunque debba fare anche un semplice palleggio, a chi debba fare una difesa, un attacco! Avete mai provato a fare un palleggio con le dita completamente congelate? O ad attaccare con la mano fredda? A fare movimenti rapidi ed esplosivi, come il nostro sport richiede?
E’ normale far allenare dei ragazzini di 14-15-16 anni in condizioni simili? Non chiedo né comprensione, né chissà quale aiuto. Semplicemente, vorrei che si scrivesse un commento tecnico riguardo all’allenamento in simili condizioni. Cosa rischiano gli atleti (qui parlo specialmente con fiseoterapisti, medici, preparatori)? E’ giusto che il Comune di una città, che ha tanto a cuore la salute dei propri cittadini, continui ad ignorare una situazione così rischiosa? Come possiamo svolgere un allenamento dignitoso, sicuro e produttivo, in queste condizioni?

Personalmente, la mia decisione è che, semplicemente, quasi sicuramente smetteremo di allenarci lì. Meglio giocatori più scarsi, che si allenano una volta a settimana (inutile, probabilmente), ma che almeno non corrano rischi. Raccoglierò i pareri, scriverò una relazione, la invierò a chiunque sia il responsabile di questa situazione. Mobiliterò, per quanto possibile, la Società ed i genitori. Eviterò di riportare nomi di terzi, comunque. Grazie mille a chi deciderà di scrivere qualcosa.

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Fisico, fisico, fisico… e la tecnica?

Una premessa: non credete a quello che scriverò. Cambio idea molto spesso, riguardo a questo argomento. Prendete il mio scritto odierno come un semplice spunto per una discussione.Tutti siamo affascinati da quella strana scienza (inesatta) che è la teoria dell’allenamento. In altre parole, a tutti noi allenatori piacerebbe essere anche preparatori fisici. Ci si chiede: “Come faccio per fare questo? Come faccio a far schiacciare il mio giocatore più forte? Come faccio a farlo andare più ni alto?”. Sono domande che io stesso, per primo, molte volte mi pongo e pongo.

Certe volte, però, mi viene da pensare a quale sia il vero motivo perché il mio giocatore non riesce ad andare così in alto. E’ solo un esempio, per carità. Ha carenze muscolari a livello di quadricipiti? Quando un mio giocatore schiaccia in rete, è colpa del fatto che salta poco? Devo ammettere che, negli ultimi tempi, mi sto rendendo sempre più conto che ci sono carenze tecniche, la cui colpa è attribuita a carenze fisiche. Ma molto spesso non è così.

Ci sono svariati motivi per cui, ad esempio, un giocatore schiaccia a rete:

  • Ha preso male il tempo di rincorsa
  • Ha scelto male il tempo del braccio
  • Ha colpito la palla con il braccio piegato
  • Ha colpito la palla dietro o lontana dal corpo
  • Ha saltato poco

Mentre sui primi motivi è chiaro a tutti che non ci sono carenze fisiche, è invece più logico pensarlo per il motivo della scarsa elevazione. Ma andiamo a fare un’analisi più profonda anche in questo caso; quali sono i motivi per cui un giocatore salta poco?

  • Carenza fisica
  • Rincorsa corta
  • Rincorsa poco esplosiva (causata spesso da errata scelta del tempo di partenza)
  • Tecnica di rincorsa errata (al contrario, caricamento eccessivo o ridotto delle gambe)
  • Salto troppo orizzontale

Come si evince, anche una volta che abbiamo appurato che il problema sia l’elevazione, abbiamo ancora una seconda analisi, ben più dettagliata e complessa, da effettuare! Il problema fisico, ossia dove dovrà poi subentrare la preparazione atletica (il preparatore atletico) è solo uno dei tanti possibili. Anzi, da quel che ho constatato, è normalmente uno dei minori.

L’esempio che ho evidenziato è solo uno dei tanti possibili. Forse il più blasonato. Ma potremmo dire lo stesso per la potenza di attacco o per la spinta dei palleggiatori (anche se penso che questo sia più un problema riservato alle femminili). Un’analisi video di una seduta di allenamento potrebbe permetterci di evidenziare alcune lacune che, magari, durante la seduta non è possibile cogliere.

Credo che l’individuazione della vera causa di un problema, con il conseguente aumento della probabilità di risoluzione, sia uno dei punti cruciali del nostro compito di allenatore. Senza dover necessariamente scomodare il preparatore.

Revisionato il 17/05/2012

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Tecnica errata o adattamento?

Qualche giorno fa mi sono trovato a parlare con un collega e ormai caro compagno di lavori e discussioni tecniche, Antonio (meglio noto come supersunk), in merito alla questione del bagher d’appoggio. Lui mi esponeva la sua idea di gesto tecnico ed io rispondevo con la mia. Alla fine sono arrivato alla conclusione (forse perché era un argomento che già avevo affrontato, visto che due anni fa la pensavo esattamente come lui) che entrambe sono corrette. Giusto per completezza, riporto le due “teorie assassine”: mente ci troviamo d’accordo sull’importanza di uno spostamento preciso, rapido e repentino e sulla necessità di un piano di rimbalzo saldo, piatto e ben orientato, ci siamo trovati in disaccordo in merito alla questione della meccanica del gesto. Mentre lui sostiene l’importanza di uno spostamento in affondo frontale verso la palla, io sostengo un’importanza maggiore della condizione di equilibrio laterale e quindi preferisco avere giocatori con una base di appoggio ampia e un piede solo leggermente più avanti rispetto all’altro. Ad essere precisi, più che la meccanica, è la postura del gesto ad essere modificata. In effetti, è chiaro che ogni tecnica d’appoggio deve prevedere di andare incontro alla palla, il tutto sta nel definire come farlo.Non vorrei soffermarmi troppo sulla questione del bagher d’appoggio, che è solo un caso specifico del discorso più generale che vorrei affrontare. Si parla sempre di differenze tra errore ed adattamento, ma ci sono almeno due punti che vengono trascurati:

  • Qual è il confine che separa l’errore dall’adattamento
  • Come scegliere cosa insegnare

Per risolvere il primo problema dobbiamo pensare a che cosa sia una tecnica e per quale motivo essa venga introdotta. Penso sia un campo piuttosto interessante, che mi piacerebbe approfondire. Purtroppo, il materiale a mia disposizione in merito non è molto. Posso azzardare, comunque, che una particolare tecnica nasca in seguito ad una serie di adattamenti atti a raggiungere alcuni obiettivi obiettivi:

  1. Migliorare l’efficacia del fondamentale;
  2. Ridurre la fallosità del fondamentale;
  3. Rendere il gesto facilmente apprendibile;

Va aggiunta inoltre una serie di vincoli:

  1. Bisogna rispettare il regolamento di gioco;
  2. Rendere pressoché nulli i rischi di traumi;
  3. Il gesto tecnico deve essere realisticamente allenabile.

Cercando di riassumere, un gesto tecnico deve produrre qualcosa di buono nell’ambito del gioco (tanti punti in pochi errori), essere ammesso dal regolamento, non essere dannoso per i giocatori ed essere realisticamente allenabile. Ovvero, dobbiamo sapere in che modo allenarlo, le qualità fisiche che lo sovrastano e le abilità coordinative richieste. Ad esempio, perché per far punto un giocatore non si fa lanciare dal compagno in aria e poi impatta la palla in rovesciata (tipo calcio)?

  1. E’ vietato servirsi dell’aiuto del compagno nel giocare la palla;
  2. Il gesto tecnico è molto pericoloso (ricaduta);
  3. Il gesto motorio è molto complesso e quindi facilmente soggetto ad errore (elevata fallosità);
  4. Servirebbe una quantità di tempo spropositata per allenarlo.

Mi viene da pensare che le tecniche che utilizziamo ed insegnamo oggi siano frutto di una serie di raffinazioni successive. Partendo dai vincoli, hanno cercato di migliorare gli obiettivi proposti. Pensiamo alle differenti tecniche di muro, o addirittura di rincorsa, tra centrali e schiacciatori. Mi viene da pensare che, originariamente, queste differenze non esistessero. Con l’introduzione di palloni più rapidi, sono stati necessari adattamenti e raffinazioni.

Una volta che siamo riusciti a definire una tecnica, dobbiamo anche individuare cosa è veramente importante e cosa invece non lo sia. A tale scopo mi piace ricordare un esperimento svolto in America qualche decennio fa. Sono stati convocati degli allenatori di tennis, divisi in due categorie: esperti ed inesperti. Sono stati loro mostrati dei video di giocatori ed è stato chiesto di annotare gli errori tecnici riscontrati. Il dato sorprendente, ma del resto atteso dagli organizzatori, è che gli inesperti hanno segnalato una miriade di errori in più rispetto a quelli individuati dagli esperti. Ma come è stato possibile un fatto del genere? Gli allenatori esperti avevano avuto dei problemi? Stavano forse male? Difficile, visto che il numero di allenatori interpellato era elevato, e la possibilità che si verifichi un evento del genere è molto bassa. Ma allora cosa può essere successo? Beh, è quasi incredibile, ma il risultato del test conferma il fatto che l’allenatore esperto normalmente sa cosa è importante e cosa invece non lo è. O meglio, l’esperienza aiuta l’allenatore a capire ciò che è errore tecnico importante e ciò che invece è personale adattamento, errore non tecnico o comunque trascurabile. Ecco allora che l’allenatore esperto è in grado di trascurare i fattori poco importanti, quelli che non dipendono dalla tecnica, quanto da un personale adattamento di un giocatore.

Dobbiamo però ancora capire quale sia il confine dell’adattamento, il limite superato il quale deve scattare repentina la correzione. Anzitutto, dobbiamo specificare le situazioni di partenza. Mi pare logico che tale confine sia funzionale all’età ed all’anzianità sportiva del giocatore. Più un giocatore è esperto, più avrà tecniche personalizzate che, oggettivamente, risulteranno difficili da sistemare, anche se normalmente le considereremmo errate. Proviamo quindi a riferirci ad un giocatore di una squadra giovanile con qualche anno di esperienza. Ad esempio, un Under 16 o Under 18 con almeno 3 anni di esperienza in campionati di categoria.

Ritengo che il confine sia da ricercare nel punto in cui il fondamentale riesce comunque a rispettare gli obiettivi di cui sopra abbiamo parlato. Ovvero: se due particolari tecniche riescono a produrre efficacia e fallosità equivalenti, allora dobbiamo poter parlare di eguaglianza tra essi. Nel caso specifico del bagher di prima, ci sono evidenti motivazioni a favore degli affondi frontali ed altre a favore della stabilità laterale. Basti pensare che il bagher in affondo è quello più insegnato (e, giudicando il fatto che abbiamo prodotto parecchi buoni giocatori negli ultimi anni, direi che funziona bene); d’altro canto, il bagher con piedi molto larghi è quello più utilizzato a livelli alti, quando la palla viaggia molto veloce.

Un secondo esempio: la rincorsa al contrario. Perché è un gesto tecnico da correggere nei giovani? Perché, limitando il numero di colpi forti, produce efficacia minore. Infatti, entrando a rete con angolature diverse, diventa molto improbabile poter giocare alcuni colpi di diagonale (parlando di attacchi da zona 4).

Rimane da affrontare l’ultimo quesito: cosa insegno ad una squadra giovanile? Penso che in questo caso la risposta corretta, a parte quella banale (”ciò che è corretto“), sia “ciò che so insegnare meglio e ciò in cui credo maggiormente“. Tornando al caso specifico del bagher, io preferisco insegnare a tenere le gambe larghe poco più delle spalle, un piede più avanti e lavorare molto sul piano di rimbalzo. Perché credo che sia più facile da insegnare. Perché credo che ricalchi meglio il gioco di alto livello a cui aspiriamo di arrivare con tutti i nostri ragazzi. Perché non credo nel perdere troppo tempo nell’insegnare un affondo, quando abbiamo appurato che non è quello l’importante. Perché vedo risultati migliori in questo modo. Perché credo che l’equilibrio sia importante.

Ciò che mi sento di consigliare caldamente è di non mescolare troppi stili di insegnamento. Mi spiego: se scelgo di lavorare sull’equilibrio, lavoro su quello. Non che ad un giocatore faccio fare quello e ad un altro l’affondo. Se già i miei giocatori sono abituati a fare l’affondo, tuttavia, non ha senso perdere tempo a cambiare la tecnica, perché, come abbiamo ampiamente detto, non è quello che importa!

Una buona pallavolo ed un buon bagher a tutti.

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I giocatori in prova

Ho concluso felicemente la prima settimana di allenamento. Quest’anno alleno un gruppo maschile Under18. Un gruppo in realtà molto giovane. Diciamo, senza troppe pretese e con buoni margini di miglioramento.

L’argomento di cui vorrei parlare oggi è un tema di cui nessuno parla mai, forse perché, in realtà, non vi si attribuisce alcuna importanza. Vorrei spendere due pareri e perplessità in merito ai giocatori in prova nel mese di Settembre. Ritengo che questa possa rivelarsi un’arma a doppio taglio: da un lato la possibilità di integrare il nostro organico di ragazzotti ci intriga (del resto, spesso il target giovanile è anche quello di “far numero”), dall’altra però si pongono alcuni problemi che devono essere affrontati e che saranno il tema di questa pagina.

I problemi di cui dobbiamo occuparci sono molteplici:

  1. Dobbiamo necessariamente portare avanti il nostro programma di preparazione fisico-tecnico-tattica
  2. Non dobbiamo danneggiare il giocatore nuovo
  3. Dobbiamo valutare in poco tempo se si tratta di un potenziale elemento valido
  4. Dobbiamo far “buona impressione”

Il discorso è contestualizzato alla mia squadra, ma penso non si fatichi troppo se lo si prova ad adattare ad una qualsiasi squadra giovanile già pronta dal mese di Giugno, ma comunque disposta a visionare atleti anche a Settembre. E’ un discorso valido solo se parliamo di allenatori che preparano gli allenamenti in base ai giocatori di cui dispongono (spero lo facciano tutti!) e di società in cui, spesso e volentieri, la gente nuova arriva senza preavviso (leggono gli orari di allenamento dal sito web della società, o li chiedono al dirigente).

Nella maggior parte dei casi, non siamo in grado di prevedere quando e in che quantità avremo giocatori in prova. Non sapremo nulla di loro a priori. Questo impone, a mio avviso, il fatto che non si possa pensare ad un allenamento generico, come eventualmente si potrebbe fare a Giugno. Quindi, essenzialmente, l’allenamento è quello che faremmo fare normalmente ai nostri atleti. Con la variabile di qualche potenziale novità.

Il metodo che sto adottando quest’anno è semplice: quando preparo una seduta (almeno così ho fatto questa settimana e farò la prossima, poi direi che il “pericolo gente nuova” potrà essere considerato superato), lascio sempre delle tempistiche un po’ “dilatate“, per poter inserire un turno in cui lavori anche il/i giocatore/i in prova. Se quel giorno non abbiamo nessuno nuovo (ed è capitato), vorrà dire che il tempo in più potrà essere utilizzato per un lavoro “extra” da qualche mio atleta. Sicuramente non è un metodo ottimale, ma penso che sia meglio del preparare una seduta solo per i miei giocatori e dover poi in qualche modo inserire la variabile nuova. Del resto, non possiamo neanche pretendere che il ragazzo passi tutto l’allenamento a raccogliere palloni (è in contraddizione con il problema 4).

Questo metodo funziona benone per la parte tecnica dell’allenamento. Però non può essere adattato alla parte fisica ed a quella tattica. Nella parte fisica dell’allenamento dobbiamo essere bravi ad evitare traumi al nuovo arrivato (problema 2), pertanto è importante non solo limitare intensità e volume degli esercizi, ma anche eliminare alcuni esercizi considerati pericolosi. Ad esempio, un discorso affrontato di recente sul forum di preparazionefisica.it è relativo all’affondo laterale, che, se eseguito in stato di mancato allenamento e con tecnica non corretta, può causare problemi all’adduttore. Considerato che, nella maggior parte dei casi i ragazzi nuovi arrivano dopo diversi mesi di ozio totale, è bene valutare con attenzione la possibilità di escluderlo da alcune esercitazioni che, magari, per il resto dei giocatori sono già applicabili.

L’aspetto tattico, infine, non mi ha ancora fornito indicazioni interessanti, nel senso che quando devo valutare qualcosa con i miei ragazzi relativamente ad una strategia di gara (ad esempio, riguardare le rotazioni di CP o il sistema di BP), non posso fare a meno che annoiare il nuovo. Ritengo che, se da un lato questo potrebbe risultare noioso (problema numero 4), dall’altro potrebbe anche entusiasmarlo il fatto di vedere qualcosa di “figo”. O almeno, io quando ero più piccolino mi appassionavo un sacco nel vedere gli schemi di gioco.

Nel caso si disponga di un aiutante, è bene sfruttare al massimo questa possibilità, ed utilizzare, ad esempio, i momenti di tattica o di tecnica individuale per valutare le capacità tecniche del nuovo arrivato, almeno da un punto di vista potenziale. Com’è il suo tocco di palleggio? Com’è, nel complesso, il bagher? E’ in grado di fare una piazzata da terra? Pensiamo potrebbe essere utile al gruppo? Prima riusciamo a fare questa valutazione, prima riusciamo ad inserire il ragazzo nel gruppo. L’aspetto psicologico è molto importante: se abbiamo trovato un potenziale buono, qualche parola di elogio (magari davanti ai genitori?) potrebbe convincerlo definitivamente ad entrare nel gruppo. Viceversa, se capiamo che il ragazzo non è minimamente al livello del nostro gruppo, possiamo suggerire l’inserimento in una squadra più giovane (magari solo per qualche mese?).

A questo punto non mi resta che sentire il parere di chiunque abbia voglia di esprimerlo. Come gestite voi questa situazione? Improvvisate? Se sì, come? Programmate? In che modo?

Una buona settimana di pallavolo a tutti.

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