Con grande rammarico, sto guardando pochissimo le Olimpiadi di Pechino. Dico rammarico, perché le Olimpiadi sono un momento fantastico, in cui guardare sport che durante l’anno non ti interessano minimamente, ma che quella volta ogni 4 anni ti diverti come un pazzo ad osservare. Sì, lo so, dovremo arrivare a parlare di pallavolo, ma lasciatemi prima scrivere qualcosa di più generale.
Sono particolarmente catturato da alcuni sport individuali: i tuffi, l’atletica e la ginnastica artistica. Un po’ meno la lotta e la spada. Sono sincero, io ammiro veramente tutti i professionisti degli sport individuali. Li ammiro perché riescono ad avere costanza, riescono a mettere impegno in attività in cui, fondamentalmente, non esiste un concetto che per me è sempre stato fondamentale, ovvero lo spogliatoio. Il giocare con gli amici, l’imparare dagli altri e con gli altri, il tollerare e l’impegnarsi per essere tollerato. Prendiamo invece il tuffatore: sei tu, il trampolino e la vasca. Più l’allenatore. Con cui è raro, immagino, avere scontri, poiché l’allenatore non esiste senza di te e tu non esisti senza di lui. Allenatore e atleta, due entità che esistono una in funzione dell’altra. L’allenatore consiglia, l’atleta esegue, poi si prova e si riprova. In una squadra è simile, se non fosse che, oltre al maggior numero di individualità, esiste un concetto super-partes, dominante, chiamato appunto squadra. La squadra è il concetto principe, è quella su cui si deve basare l’attività di ogni allenatore e di ogni atleta. Invece nello sport individuale il sacrificio è tuo e solo tuo. Tu vinci e tu perdi.Tu ti alleni con impegno o senza impegno e i risultati si vedranno solo su di te. Li ammiro veramente, perché io ho sempre visto lo sport come un grande divertimento anche e soprattutto perché c’erano i compagni di squadra.
Quest’olimpiade è piena di colpi di scena e di emozioni: come non citare la caduta del mito cinese, Liu Xiang, da cui tanto ci si aspettava e da cui così poco si è ottenuto. Si è visto il pianto, suo, dell’allenatore e del pubblico. Mesi, forse anni, di sacrifici, gettati al vento. Ma questo è lo spettacolo dello sport. Aanche in casa nostra abbiamo avuto momenti di riflessione e sofferenza, come la vergognosa situazione per cui la nostra Aguero non è potuta rientrare a Cuba, per abbracciare la madre morente.
Veniamo adesso alla pallavolo. Le donne, giusto ieri, hanno perso, seppur di misura, contro gli USA. Una partita molto emozionante a tratti. Al quarto set, dopo l’8-0 per le statunitensi, sono dovuto andare via dal televisore. E ho appreso solo dopo, ahimè, che quel break non è stato solo un semplice break, ma la svolta della partita. E così le donne a casa. Gli uomini invece sono ancora in corsa, seppur in preda a mille difficoltà, vedere ad esempio gli infortuni di due uomini determinanti quali Fei e Corsano. Il maschile ci ha insegnato, specie nella partita contro la Cina, come il RPS abbia veramente reso più imprevedibile (forse anche un po’ più fastidiosa) la nostra pallavolo. Guardando il terzo set, ho visto una nazionale azzurra distratta, fallosa e che nulla ha potuto contro la crescenza costante della squadra cinese. Questo è il RPS, se non sei costante ad alto livello perdi.
Passando invece al beach volley, se devo essere sincero, credo che questa disciplina si stia mantenendo ancora un po’ troppo ibrida. Non seguo moltissimo questo ramo della pallavolo, però ci sono alcuni punti che non mi vedono del tutto d’accordo: ad esempio, l’assenza di cambi e, soprattutto, di allenatori in panchina. Non capisco perché debba essere praticamente l’unico sport senza allenatore a bordo campo. Persino nel sollevamento pesi c’è l’allenatore di fianco. Il beach volley deve essere tutelato, ma allo stesso tempo controllato: è da considerare, a mio avviso, il vero amo che possa poi portare i giovani (specialmente i maschi) nel mondo della pallavolo, anche indoor.
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